Il Pd deve essere la casa di “tutti” i riformisti? No, è stato il primo errore: serve un partito dei liberaldemocratici
Al direttore - Si dibatte se il Partito democratico sia e debba essere la casa di tutti i riformisti (e perché non “riformatori”) inclusi i liberaldemocratici. La disputa ha poco senso se non parte dalla realtà d'oggi e dalla nostra storia. La storia della Repubblica e ancor più dell'ultimo trentennio insegna che il bipartitismo non è mai divenuto congeniale al Dna politico italiano, neppure quando è stato adottato il maggioritario uninominale che è la matrice naturale degli schieramenti contrapposti, quindi due partiti. La pluralità delle tendenze politiche, a sinistra, a destra come al centro, sembrano inevitabili, anche quando si mettono fuori gioco i gruppi minoritari. Altra cosa è la necessità del bipolarismo governo-opposizione per far funzionare la democrazia liberale.
L'istituto Cattaneo pronostica che la capacità espansiva del Pd è limitata. Anche se non fosse precisamente così, la sfida già persa del partito unico dei riformatori è rappresentata proprio dalla vicenda del Pd che alla nascita si proponeva di raccogliere le eredità, oltre che del post-comunismo, del socialismo democratico, dei liberaldemocratici, degli ambientalisti, del femminismo eccetera, eccetera. Per la permanenza e la forza della tradizione, della classe dirigente e dell'elettorato, il Pd è però divenuto niente altro che l'erede del post-comunismo italico in salsa emiliana e del post-sinistra democristiana di derivazione dossettiana. Non è un caso che, oggi, il partito che ha alla testa un bravo ed onesto quadro romano della vecchia Fgci come Zingaretti, abbia espulso chi, come Renzi, aveva tentato (con protervia provinciale) lo strappo dal continuismo. Certo, di fronte al pericoloso blocco maggioritario nazionalpopulista, Il Pd potrà ancora crescere, e magari attestarsi fino al 30 percento, ma ciò non significa che divenga possibile l'alternanza a questi qua.
Qual è allora la “giusta” via dei riformatori liberaldemocratici d'ogni specie (non parliamo di “centro” e di “moderati”), vale a dire di quella parte dell'elettorato che – usando uno schema – guarda alla società aperta contro le chiusure sovraniste? A me pare che solo da questi settori dell'elettorato, attraverso un'espressione politica autonoma dal Pd, ben identificata e senza ambigue concessioni al populismo, possa derivare quel valore aggiunto che permetta ai riformatori di competere con i nazionalpopulisti ben impiantati nel panorama occidentale. So benissimo che i partiti, gli schieramenti e le correnti elettorali non nascono a tavolino fuori dalla lotta politica, e che c'è bisogno oltre che di idee e strutture anche di leader. Ma è pur vero che senza una bussola che registri i bisogni profondi della società e sia capace di offrire una risposta differenziata da quella attualmente sul mercato elettorale, difficilmente vi sarà qualcosa di più edificante degli attuali pasticci. Calenda potrà essere il protagonista del progetto? Non lo giuro. So soltanto che al momento mi pare che sia tra i pochi esponenti in circolazione che parla chiaro, capace anche di confrontarsi (presuntuoso? Coraggioso?) con il consenso elettorale che, certo, non è suo personale ma è pur sempre significativo di una qualche capacità attrattiva. Contro l'ipotesi autonoma liberaldemocratica viene talvolta evocata l'esperienza di “Scelta civica” di Monti. Quell'infelice discesa in campo, però, non aveva alcuna consistenza liberaldemocratica ma rappresentava soltanto una furbissima manovra di settori cattolici (con l'appoggio della Cei e della curia vaticana alla ricerca di un'alternativa a Berlusconi) che si fecero trainare in Parlamento dall'ottimo economista ma ingenuo leader politico, ben presto abbandonato da quasi tutti i deputati e senatori che preferirono per scelta o per interessa accorparsi al centro cristiano o alla sinistra Pd.
Oggi nessuno ha la “ricetta”. Occorre solo seguitare a discutere su come sciogliere il nodo del rapporto tra sinistra Pd e liberaldemocratici che è vitale per la democrazia. Lasciamo dunque i 5 stelle al loro destino senza raccoglierne quelle che sono solo macerie.
Massimo Teodori


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