
La fantascienza su netflix e il nuovo ordine mondiale
La nuova frontiera del soft power cinese – quella che Antonio Gramsci avrebbe chiamato egemonia culturale – comincia al cinema. Anzi, su Netflix. Da qualche settimana è sbarcato sul servizio di streaming il kolossal made in China “The Wandering Earth”, la Terra vagante. Il film è un filmone, nel senso che ha tutti i segni riconoscibili e anche quelli meno riconoscibili per competere con i filmoni d'azione made in Hollywood. A partire dalla storia di fantascienza, scritta dalla star del genere Cixin Liu, conosciuto anche da noi per la trilogia “Il problema dei tre corpi”, pubblicata da Mondadori e vincitrice dei principali premi americani.
In “The Wandering Earth” siamo nel genere catastrofistico: la Terra, sovrappopolata e devastata dal congelamento globale (la popolazione ormai vive in città sotterranee) sta per essere distrutta dall'esplosione del Sole. Unica via di scampo: mettere letteralmente i razzi al pianeta e spingerlo via, fino a un altro sistema solare dove potrà orbitare felice e tornare a fiorire come un tempo. Il viaggio sarà lunghissimo, durerà secoli, e la Terra si trasformerà in una astronave generazionale. Saranno i nostri pro-pronipoti a vedere il nuovo Sole. Ovviamente c'è l'intoppo, si rischia di cadere dentro al pozzo gravitazionale di Giove, e tutti si devono dare da fare, sia nella stazione spaziale che fa da guida sia sulla superficie, dove devono ripartire i razzi.
Il regista è Frant Gwo e il cast è tutto cinese: Qu Chuxiao, Li Guangjie, Ng Man-tat, Zhao Jinmai, Wu Jing e Qu Jingjing (non vi affannate a cercarli, non li conoscete). Il film è costato 50 milioni di dollari e ne ha incassati finora più di 700, di cui la stragrande maggioranza in Cina: 691. E' il terzo film per incassi del 2019 e il secondo non in lingua inglese di sempre. E non è un kolossal storico in costume, come accade di solito ai film made in China.
La grande avventura interstellare però è più uno strumento di soft power che un film. La Cina l'ha pensato per il mercato interno ma non solo. Lo scopo è quello di smarcarsi dall'egemonia simbolica del cinema americano, cosa che da noi è considerata ormai un dato ambientale e immutabile. Invece, la Cina ha un mercato interno talmente grande da potersi permettere una sua Hollywood, e poi proiettarla anche in altri mercati, a partire dal resto dell'Asia e dall'Africa che sta colonizzando, ma senza disdegnare l'Europa, che sembra ammalata di una nostalgia per una Cina ideale, molto diversa da quella attualmente impegnata a far fuori gli Stati Uniti come prima potenza geopolitica mondiale.
E qui arriva il punto di vista del film, che presenta un senso di straniamento simile al viaggiatore europeo che consulti una cartina comprata a Pechino: i continenti sono sempre quelli ma al centro del mondo c'è la Cina e non più l'Atlantico. Il film infatti è esteticamente all'altezza dei blockbuster americani del genere fantascientifico, con effetti speciali ottimi, citazioni, ammiccamenti dalle ultime pellicole americane (da “Gravity” a “The Core”, persino “2001 Odissea nello spazio”) e tutto quel che serve a queste storie.
Quello che cambia è il modo con cui viene raccontata la vicenda, perché cambia l'etica sottostante: non c'è più l'individualismo del cow-boy americano che da solo salva il mondo. Qui si lavora in gruppo e valgono i legami familiari e il gioco di squadra. Ci si arrabbia e ci si ribella, certo, ma poi vince lo stare insieme e l'unica scelta autonoma del singolo è quella del sacrificio personale: il suicidio per il bene collettivo.
Nella Terra del futuro la Cina è una superpotenza e l'amico che ci aiuta è casomai l'astronauta russo, mettendo sottosopra tutti i nostri assunti molto occidentali su chi debbano essere i protagonisti e gli eroi delle storie. E' un film divertente? Certo. E' un filmone da IMAX, popcorn e cocacola. Una vera americanata. Anzi, una cinesata.
Antonio Dini


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