Non c'è Paragone
S i è dimesso ma poi ci ha ripensato e dunque si è rimesso nelle mani di Luigi Di Maio. Nel movimento terremotato dalla sconfitta, a emergere è stata la figura di Gianluigi Paragone, il traditore che si è tradito nelle parole, il Bruto dimezzato. Liberato dalla “gabbia” da Alessandro Di Battista, di cui ormai è il vice, Paragone ha infatti accarezzato per una mattina di muovere i fili della Storia e di detronizzare il suo leader prima di detronizzarsi da senatore del M5s. In un'intervista al Corriere della Sera, è uscito allo scoperto, come fosse un Lev Trotsky del vaffanculo, al punto da chiedere al vicepremier di scegliere quale incarico lasciare. Tra i pochi a essere convocato nel comitato centrale, una specie di Gran Consiglio, che lunedì si è riunito al Mise per analizzare la caduta, Paragone ha evidentemente creduto che fosse arrivato il momento della congiura e che la leadership del M5s dovesse essere consegnata a Di Battista che da mesi imita e sostituisce in attesa che le sue ferie creative si concludano. Nato nella Lega, tanto da ricoprire la carica da direttore del suo organo di partito, il quotidiano La Padania, Paragone ha intrapreso la carriera dell'outsider, del boia dei poteri forti, un incrocio tra Massimo Giletti e Gianfranco Funari e naturalmente qui l'offesa non è per Paragone ma per Giletti e per Funari. Sbarcato in Rai in quota Lega, si è subito distinto non per l'equilibrio ma per la sua ugola. Alla sua “L'ultima Parola”, in verità non lo era, talk show di Raidue che gli venne affidato per volere di Umberto Bossi, Paragone è riuscito a trovare un modo tutto suo di fare giornalismo. Un giornalismo da SkassaKasta. Così si chiama infatti la sua band insieme a cui si è esibito e si è fatto conoscere prima di rinchiudersi in Gabbia, denunciando (ed eccone un altro) tentativi di censura da parte della Rai e della politica. Sbarcato nella La7 di Urbano Cairo, Paragone è il vero talent scout di tutti gli ultimi spelacchiati italiani, gli agitati dal pensiero debole, uno su tutti quel Diego Fusaro, filosofo geneticamente trasversale e che piace tanto agli estremisti di sinistra quanto a quelli di destra. E deve essergli tanto piaciuta la gabbia che perfino, in radio, ha chiamato un suo programma “Benvenuti nella Giungla”. E dunque, Paragone, come un domatore, ha radunato e poi scatenato gilet gialli di ogni sorta contro banche, fantomatici poteri forti, troike ogni altro tipo di diavoleria economica trattate come fossero diavolacci, insomma malebestie. C'è infatti una sua libellistica importante e che oggi riempie le librerie degli attivisti del M5s: “Gang Bank”; “L'Invasione”; “Noi no!”. Perfino Cairo ha preferito contenere questi suoi spasmi antibanche, queste invettive che da li a poco hanno consentito al M5s di salire sul balcone di governo e a Paragone di lasciare il video a favore della politica. Scelto direttamente da Di Maio, è stato candidato al Senato. Lo si vedeva il primo giorno di aula dare spiegazioni a editorialisti avveduti, presentare i nuovi compagni. Nel Movimento è cresciuto grazie alle sue dirette Instagram, dal salotto di casa, in cui sbeffeggia i suoi ex colleghi a cui continua a dare lezioni di giornalismo. Per i suoi gradi e le sue competenze gli è stata promessa da Giuseppe Conte la futura Commissione d'inchiesta sulle Banche e si dice che anche Sergio Mattarella, che ormai le ha viste tutte, si sia spaventato e non fosse pronto a vedere altro. Amato dalla base, a Ivrea, invitato da Davide Casaleggio, ha suonato al pianoforte “La Donna Cannone”… ha provato a sfrattare il ministro dell'Economia, Giovanni Tria. Poi è evidente che le note gli sono scappate di mano. Lunedì è salito sullo scooter insieme a Di Battista. Due giorni fa ha detto che il M5s “è passato da noi all'io”, fino ad assicurare che Di Maio lascerà qualche incarico, “decida lui quale”. Eroe per un giorno, subito dopo l'annuncio del voto su Rousseau, è tornato sui suoi passi e ha compiuto il suo passo indietro: “Siccome non voglio passare per traditore, consegnerò le mie dimissioni da parlamentare a Di Maio e sarà lui a decidere cosa farne”. E infatti non è passato per traditore ma un contafrottole. Da Skassakasta a Rinnego tutto.
Carmelo Caruso


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