Viva l'Europa che non russa
Quando abbiamo iniziato a parlare di cotolette, delle differenze tra quella milanese e quella viennese, di doppie impanature e dell'uso della farina (orrore), è stato chiaro: il blues elettorale in vista del voto di questa settimana – queste elezioni europee di vita o di morte – è arrivato. I segnali c'erano già stati: le copertine sui sovranisti, gli allarmismi sull'onda nera in arrivo, le grandi riunioni dei nazionalisti, i flirt tra destre tradizionali e destre più in là, le felpe, le divise, i binocoli, i fili spinati, i porti occasionalmente inaccessibili, persino lo smalto delle donne in fuga. Ci siamo occupati di tutto, degli slogan e dei loro megafoni, e ci siamo dimenticati di noi, di quel che siamo, di quel che ci tiene insieme, di noi fortunati abitanti di uno dei posti più belli, più ricchi, più felici, più liberi del pianeta. Poi è arrivata la cotoletta e la sensazione che, ancora una volta, avevamo perso un'occasione rincorrendo a perdifiato un nemico furbo e rapido, che ti ruba le parole e te le rimette nel piatto condite a modo suo, e la cena va di traverso, magari pure il governo. Il blues elettorale: eccolo qui, a pochi giorni dal voto, maledizione.
La cotoletta è stata tirata fuori da Sebastian Kurz, il cancelliere austriaco conservatore, giovanissimo ed enigmatico che nelle ultime ore si è dimostrato veloce, preciso, brutale, coraggioso. Kurz ha guidato un governo di coalizione assieme all'Fpö, partito di estrema destra, e ha avuto il suo bel daffare a tenere a bada i compagni di viaggio: si distraeva e gliene combinavano una, che fosse la lista di proscrizione dei media da evitare perché critici oppure – cosa più grave – le derive suprematiste dentro ai corpi dell'intelligence di stato. Kurz ha trovato spesso il modo di rimettere gli estremisti al loro posto, poi davanti all'affronto inappellabile – un video, i fondi russi, uno scambio di favori, degli appalti – ha deciso di andare a elezioni anticipate, a settembre. La vita su quella faglia scomoda e piccina in cui ti devi sporcare le mani con sovranismo, nazionalismo e pure qualcosa di più non è affatto semplice, e Kurz con tutta probabilità vuole usare il tempo elettorale per drenare consensi all'Fpö, diventare destra autonoma. Aveva già iniziato, a dire il vero, con la cotoletta. In uno degli ultimi comizi elettorali in vista delle europee – questo voto di vita o di morte, o sei europeista o sei antieuropeista, il grigio è il lusso antico di stagioni più moderate – ha detto che l'Europa deve smetterla con il suo dirigismo, non si può permettere di imporre agli austriaci come debbano cucinare la loro cotoletta, la celebre Wiener Schnitzel, con le patatine fritte. A parte che qualche suggerimento ci starebbe pure – la cotoletta con la farina, ma quando mai? – l'Unione europea non ha mai detto come si debba preparare la Schnitzel. Ha introdotto, con il regolamento 2017/2158 del 20 novembre del 2017, sottoscritto anche dall'Austria, una riduzione dell'acrillamide nei cibi, che secondo gli esperti emerge naturalmente nei cibi fritti. Il regolamento non cita la carne fritta (le patate e i vegetali sì), ma si è sparsa – soprattutto in Austria – l'idea che l'Unione europea volesse boicottare la Schnitzel con una nuova “politica del fritto”, un attentato alla sovranità culinaria.
Potremmo stare qui giorni a discutere del fatto che l'Ue ha molto di meglio e di più da fare che occuparsi di come si friggono le patatine oppure del fatto che c'è una certa contraddizione nell'impuntarsi sull'acrillamide e poi permettere i monopoli di stato del tabacco oppure del fatto che il problema è il salutismo di stato, che non è certo un'esclusiva europea. Potremmo stare qui giorni, ma mancheremmo il punto: Kurz ha volontariamente ripetuto una frase fatta della propaganda antieuropea, che per di più è falsa. Perché lo fa? Perché parlar male dell'Europa è elettoralmente conveniente, perché stare a spiegare che questo regolamento come molti altri riguardanti il cibo sono stati ispirati da una logica di uguaglianza – c'è un problema nell'Unione di prodotti apparentemente identici che nei paesi dell'est sono fatti con ingredienti meno pregiati di quelli utilizzati a ovest – è ben più complicato e meno attraente della retorica sull'Europa invasiva e tiranna.
Di Schnitzel in Schnitzel, s'è finito per deturpare la storia europea, la sua immagine e le sue realtà. Jean-Claude Juncker, presidente uscente della Commissione europea, un altro di quei personaggi brussellesi che è finito nel mirino della propaganda antieuropea – interpreta la parte dell'ubriacone – ha detto di essersi pentito di non aver ribattuto dato per dato, parola per parola, a chi ha alimentato la percezione di un'Europa schiacciata dalla follia delle norme, delle regole e della burocrazia. Juncker ce l'aveva con Kurz, che “essendo un europeista non dovrebbe unirsi al coro delle voci antieuropee” e ce l'aveva con le dicerie che hanno fatto scuola nel Regno Unito della Brexit, che hanno determinato l'esito del referendum e che ancora circolano come se fossero vere gonfiando i consensi dei brexiteers.
La cotoletta, Kurz, lo scontro con le destre estreme, tra convivenze e porte sbattute, cosa si poteva fare e non si è fatto: ecco perché questo è il momento del blues. Fra tre giorni si inizia a votare nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, domenica sera avranno votato tutti i 28 paesi dell'Ue e se ci voltiamo indietro vediamo che pure di fronte a uno scontro epocale per il progetto europeo – che non è roba né da accademici né da salotti: è vita quotidiana infinitamente più semplice rispetto a solo trent'anni fa – ci siamo persi dietro alle lucciole, e ci siamo dimenticati di noi. E allora: come ci si salva? O, ancora meglio: chi ci salva?


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