La Tangentopoli che non c'è e di cui Milano non ha nessuna voglia
A colpo d'occhio, quel che finora manca (e per fortuna) nella presunta “nuova Tangentopoli” milanese è la ferocia di piazza, della “ggente”. Nessuno assedia coi forconi il Palazzo, nessuno fa il tifo fuori dal Tribunale. Forse, banalmente, è il segnale di due cose: i lombardi non imputano alla politica colpe per un “sistema” di governo che non sembra funzionare poi tanto male. E più che altro, sono consapevoli che il sistema corruttivo dei partiti non c'è più, o non determina, come un tempo, il corso degli eventi. Un po' perché, come ha detto ieri in un'intervista Beppe Sala, Milano si è fatta gli anticorpi; un po' perché la politica dei partiti conta davvero poco, le storie finora emerse sono straccionate, piccole carriere, non indice di un sistema corruttivo. Eppure, l'inchiesta ad ampio raggio e con molti filoni (che proviamo a decrittare qui sotto) della Procura di Milano mira a bersagli grossi, e alla ricostruzione di una rete di corruzione generalizzata che vedrebbe, come sempre, nella politica il suo motore inquinante.
Dopo aver toccato il governatore Attilio Fontana (l'avviso di garanzia e il suo interrogatorio non sembrano aver fatto tremare Palazzo Lombardia) ieri è toccato a Marco Bonometti, imprenditore di peso e presidente di Confindustria Lombardia, da sempre in non taciuti buoni rapporti con il mondo forzista, a finire indagato, in tandem con l'europarlamentare Lara Comi. Altra esponente di quei giovani di FI lombardi che sono ormai etichettabili come “la generazione perduta”. Anche se, a differenza di Mani Pulite, è dubbio che sia un'inchiesta stavolta a far chiudere un partito. Eppure, il reato ipotizzato per Bonometti, finanziamento illecito ai partiti, ha l'effetto di gettare il sospetto su tutto il mondo imprenditoriale e politico: “Un certo modo lombardo di fare sistema”, ha scritto il gip Raffaella Mascarino con malcelato disprezzo. E getta la paura su chiunque faccia politica, sapendo che la politica a un costo, o debba amministrare. Beppe Sala – di cui la Procura generale ha chiesto una condanna a tredici mesi, per un reato di Expo del quale la stessa procura di Milano aveva dichiarato l'insussistenza: per dire la serenità con cui un amministratore affronta ogni giorno il proprio incarico – ha risposto con intelligenza a Repubblica che lo stipendio basso ai politici non giustifica la corruzione, “però non la disincentiva”. E' il tema del finanziamento, e dovrebbe essere affrontato con serietà.
Ci sono altri effetti collaterali. Quello di un evidente campanello d'allarme, dopo il caso Siri, per Matteo Salvini: che si trova con il suo governatore mascariato da un'accusa piccina picciò, ma fastidiosa. Ma soprattutto il riflesso mediatico dell'inchiesta (non si dirà dell'inchiesta in sé) sembra quello di indebolire o intimidire un governo regionale Lega-Forza Italia che non è esattamente lo specchio del salvinismo, né tantomeno il governo populista grillino, ma è il miglior governo di centrodestra moderato disponibile al momento in Italia. Tutto sensato? Milano, per ora, non ha nessuna voglia di questo. Ma Milano è anche la strana città da cui tutte le rivoluzioni partono, anche le peggiori. Però Milano si ricorda di aver pagato molto caro, per oltre un decennio di crisi e di immobilismo, i furori giacobini di Tangentopoli.
Maurizio Crippa


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