ELITE E CASTIGO
Se prima c'era un fantasma che spingeva le élite a liberare le masse incatenate, ora c'è un senso di colpa che tormenta le élite e incatena le masse alla rabbia. E' la sintesi delle discussioni giornaliere al bar sotto casa. Voglio dire, il suddetto campione di riferimento non copre tutti i crismi che la statistica richiederebbe per siffatte operazioni, si tratta, tra l'altro, di un piccolo bar, a via di Donna Olimpia. Tuttavia la strada è multiforme, celebrata da Pasolini, in “Accattone”, e ancora oggi trovate documentari sui ragazzi delle case popolari del civico 30: ah! quella vitalità selvaggia che tanto affascina chi non è selvaggio. Nello stesso tempo, la strada (che è lunga) raccoglie un ceto sociale benestante, ebbene sì colto, raffinato (il grande Caproni abitava a pochi passi, ora c'è un'insegna che lo ricorda: “Il vento… E' rimasto il vento. / Un vento lasco, raso terra, e il foglio / – quel foglio di giornale – che il vento / Muove su e giù sul grigio / dell'asfalto”), e dunque al bar, dove élite e massa si sfiorano, in giorni particolarmente nervosi – vuoi per cazzi propri, vuoi per cogenti dichiarazioni politiche – si discute vivacemente.
Però prima di cominciare a introdurre l'affaire, sarebbe il caso di provare a fornire dei punti di orientamento, così per definire i due gruppi da bar: chi legge Repubblica o il Corriere (il Foglio non arriva sempre, ahimè) è élite, chi invece sfoglia il Fatto Quotidiano e il Giornale e Libero è massa. Questione di narrazione, Repubblica è il salottino, ovviamente, il Corriere il salotto buono, Fatto, Giornale, Libero sono popolari, e del popolo hanno i colori, la grammatica. E' anche questione di vestiario, Repubblica e Corriere vanno sotto braccio a tizi più eleganti, sono quelli che non comprano solo in saldo, hanno i propri negozi di riferimento, gli altri, invece, indossano giacche a vento e giubbotti. Se i primi sono considerati élite anche perché possono permettersi, chessò, di non prenotare visite mediche con lunghi di tempi di attesa, non sempre salgono in autobus, gli altri, la massa, si lamentano spesso dei servizi di trasporto e della sanità pubblica e mostrano degli affanni nella gestione di vari problemi quotidiani, dalla scuola ai viaggi. L'idea di futuro, poi, è affidata al lotto e ai vari gratta e vinci. Tra l'altro le discussioni sui numeri riempiono gran parte delle giornate.
Ci sono punti di (strana) intersezione, per esempio l'alimentazione. Qui élite e massa hanno la stessa idea, è vero, l'élite ha i suoi Natura Sì, mentre la massa preferisce il contadino che vende ai mercati, ma entrambe le categorie sono, diciamo così, sovraniste alimentari. A parte l'ossessione per il bio ecc. vogliono i prodotti italiani, quelli fatti dal contadino (chissà gli ortaggi del supermercato da dove vengono, ma vabbè) e ci tengono a sottolineare l'origine italiana, la mano italiana. Una eventuale lista che affratellasse i due gruppi potrebbe far leva sul sovranismo alimentare, sperando poi che gli altri stati non abbiamo la nostra stessa ossessione per i confini, altrimenti le mele, faccio per dire, ce le mangiamo solo noi, per non parlare delle centinaia di prodotti che esportiamo, immaginate solo l'abbassamento di prezzi per l'ovvio intasamento dell'offerta.
Ora, élite e massa, così, viste al bar, hanno connotati molto rigidi, un po' grotteschi, e anche per questo non si parlano, anzi, si scontrano solo, e ognuna, nella battaglia, illumina dell'altra ciò che è spiacevole e ridicolo, insomma quello che serve a vincere facile: la tecnica del riflettore, la chiamava Auerbach. Non credo sia colpa degli astanti del bar, una miriade di talk sta promuovendo questo modus operandi, l'altalena è troppo emotiva e la confusione regna. E' tutto basato sulla contingenza e sul sentimentalismo, e il linguaggio comune, appunto, quel certo stile che accomuna élite e massa rende difficile capire se davvero ci sarebbe un ruolo per le élite e un ruolo per la massa, al di là della lite, dico.
Tuttavia al bar c'è un personaggio interessante, il parrucchiere. Ragazzo giovane, smilzo, molto curato che non viene dai quartieri alti, anzi, si nota l'origine bassa, diciamo così, di massa. Vuoi per il gusto, vuoi per l'attenzione all'estetica del taglio, vuoi perché nel suo locale ha anche un laboratorio per parrucchieri, insomma, è uno attento alle buone maniere, basta vedere come prende il caffè. E per questo, nelle discussioni si pone come ponte tra i due gruppi, ed è preso in considerazione.
Le buone maniere, appunto. Il fatto è che a forza di insulti ci siamo dimenticati che tutta la diatriba odierna élite vs massa, ovvero perché l'élite è venuta meno al suo compito, quindi non solo ha difficoltà a indicare la strada ma si è chiusa nel proprio bel quartiere e ha perso di visto il sentimento delle masse, questa diatriba, ha origine qualche secolo fa da un punto di gravità importantissimo e poco considerato: le buone maniere a tavola. Questo punto fa parte del cosiddetto processo di civilizzazione – che oggi, considerati i risultati, non è affatto da disprezzare – ed è un processo portato avanti (non si sa con quanta coscienza) dalle élite. “Il processo di civilizzazione” è l'opus magnum di Norbert Elias, importante e per molto versi fondamentale intellettuale ebreo-tedesco (nacque a Breslau, allora, nel 1897, in Germania, ora in Polonia, Wroclaw).


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