CRISTO SI E' FERMATO A BRESCIA La città della crescita felice

Il tondino, tesoro di Brescia. Che ha un'avveniristica metropolitana senza conducente e il primo sistema di teleriscaldamento in Italia. E imprenditori fan dell'alta velocità

    Ci sono altri posti in Italia in cui vedi terzetti di amici misti, un bianco e due di colore, che girano per i vicoli di una città pulita e ben illuminata, con negozi per altospendenti senza bottiglie rotte a terra? Come si mette insieme il più alto tasso di immigrazione in Italia e la crescita industriale, pur in un momento in cui il resto del paese ristagna comme d'habitude? Si era già stati a Brescia, a indagare l'augusto modello che rende la città di Papa Paolo VI e di Giuseppe Zanardelli quasi incomprensibile. Quando il Pd qui aveva trionfato alle ultime comunali (unicum, ancora una volta, percentuali da trionfi renziani). I numeri sulla ruota di Brescia: più 2,9 per cento di produzione industriale; immigrati al 18,5, esportazioni più 7. E ancora: disoccupazione al 5,2 per cento (la metà rispetto a quella nazionale, 10,6); e disoccupazione giovanile pure dimezzata, 16,3 per cento contro 32,2).

    Se questa provincia fosse uno stato – dicono all'Aib, l'Associazione degli industriali bresciani – con quasi 1 milione e 263 mila abitanti, sarebbe davanti a Cipro, Lussemburgo e Malta. Per il pil (39,3 miliardi di euro) verrebbe prima di Slovenia, Lituania, Lettonia. Brescia potrebbe essere un principato, e però ha un sindaco.

    Nel palazzo della Loggia, Emilio Del Bono è raggiante. E non per la rielezione al primo turno, che è ormai lontana. “Ti do un dato di oggi, in particolare nella manifattura gli immigrati occupati sono il 17 per cento, contro il 12 per cento della precedente rilevazione. Il tema è quello del governo del fenomeno migratorio, e non della sua demonizzazione. Questo gli imprenditori del nord ce l'hanno ben chiaro. Se noi domani avessimo un collasso dal punto di vista dei flussi migratori, chiuderemmo bottega. Questo dicono. Quando diventeremo meno ipocriti? Quando la sinistra smetterà di trattare l'argomento in termini di accoglienza indiscriminata, e quando, nel campo avverso, invece, in termini di chiusura dei porti?”.

    “Trentottomila immigrati regolarmente residenti su 200 mila abitanti”, recita tipo mantra il sindaco. E' chiaro che tutto funziona finché l'economia tira. E gli ultimi dati, anche se “cinesi”, registrano una frenata (più 2,9 di produzione industriale nel 2018, contro il 3,3 dell'anno precedente). “Risentiamo anche noi del rallentamento nazionale. Il mondo produttivo è in stato di insofferenza nei confronti del governo”, dice poi, più serio. “Fino a qualche tempo fa ti dicevano che la Lega se non fosse per i Cinque stelle sicuramente farebbe bene. Adesso però qualcosa è cambiato: Salvini è un disastro come attenzione al sistema produttivo. Reddito di cittadinanza e quota 100 sono figlie della stessa logica, parlando a quella parte del paese non produttiva, non mettendo al centro al lavoro. E a Brescia il lavoro è anche più importante della ricchezza prodotta. Qui il lavoro è un'etica. Quello che non lavora è un lazarù, un lazzarone, non importa se locale o immigrato”.

    L'integrazione bresciana è dop, ormai celebre, forse poco imitabile: si fa con una massiccia dose di sicurezza, il pugno di ferro con gli estremismi, il bando a quartieri-ghetto e alla moschea ribalda che infatti non ci sono. Così la Lega non sfonda, né il Movimento 5 stelle, che alle ultime comunali si è fermato al 5 per cento. Il rione più multietnico è il Carmine, vecchio agglomerato medievale nel centro della città che poteva diventare una bomba di kebab e sciamannati ideologici, e invece è presidiato da una bella caserma della polizia, e da tante bollicine.

    A Brescia si beve soprattutto Franciacorta. Maurizio Zanella comanda su Cà del Bosco, uno dei marchi più famosi di questo “champagne” bresciano, anche se lui si offende se lo si chiama così. Secondo Giacomo Malvezzi, storico quattrocentesco, il nome Franciacorta deriva dal breve soggiorno che qui ebbe Carlo Magno prima di conquistare Brescia; altro etimo forse più attendibile afferma essere stato il territorio una curtis franca, cioè una zona di libero scambio. Zona delle più belle, peraltro: già lady Mary Montagu, gran sciura settecentesca, qui residente dopo una vita alla corte di San Giacomo e dopo il declino politico del marito, nelle sue lettere alla figlia dice che qui si sta meglio che a Londra. Oggi il Franciacorta, che è di un secolo più antico dello champagne, comprende 99 viticultori e 188 imbottigliatori. E una vendemmia che non si farebbe senza immigrati. “Per la vendemmia arriviamo a dare lavoro a 350 persone. Dove le troveremmo?”, dice Zanella. “Oltretutto il protocollo Franciacorta, di altissima qualità, vieta l'uso delle macchine, “con una sola che è in grado di sostituire 40/45 persone. Ma da noi non se ne parla”.

    Si torna a Brescia. Si passa da piazza della Vittoria, architettura piacentiniana muscolare, tra i cari marmi alla patria, una vineria con barista del Ghana. “In questo locale si segue una dieta religiosa” avverte un cartello. “Mangiamo ogni ben di Dio pregando di non ingrassare”. Si prende la metro: Brescia ha una avveniristica metropolitana senza conducente, ben prima della Lilla di Milano, stesso modello di quella di Copenhagen ma con in più un tocco napoletano: ci sono infatti opere d'arte in tutte le stazioni. Nei primi sei anni della sua esistenza col resto dei trasporti bresciani ha avuto 15 milioni di utenti. 17 milioni di euro il ricavo annuo dai biglietti staccati del trasporto pubblico, 800 mila controlli che scoraggiano sempre più i “portoghesi” (modello Brescia).

    Si scende alla stazione ferroviaria: molti immigrati, molta polizia. Nessun senso di insicurezza. Un supermercato bio. Ascensori funzionanti. Car sharing elettrico. Suv e Range Rover a strafottere.

    Orde di pendolari che vanno a lavorare a Milano e poi tornano a Brescia, collegata sull'alta velocità con Roma ma soprattutto con Milano: 32 minuti per coprire gli ottanta chilometri dalla capitale morale. Adesso da Brescia si tratta di proseguire verso est. La Tav Brescia Verona è la continuazione della Torino-Lione nel suo simmetrico. Anche qui polemiche e proteste, perché si tratterà di passare su zone pregiate, come quella vinicola del Lugana veronese. Anche qui commissioni costi-benefici, anche se Toninelli proprio a Brescia è cresciuto. Si va a Lonato, paesotto di sedicimila abitanti. Qui c'è il più grande fan della Tav bresciana, che è anche, accidentalmente, il presidente degli industriali.

    Giuseppe Pasini, presidente della potente Aib, è il più felice espropriato d'Italia. Per arrivare da lui, si scende sotto un cavalcavia e si presenta l'enorme Feralpi, l'azienda di famiglia, 1,3 miliardi di fatturato annuo, che produce il sacro graal dei bresciani: il tondino d'acciaio. I suoi stabilimenti producono 2,4 milioni di tonnellate d'acciaio l'anno. Adesso gliene vogliono espropriare un pezzo, perché sulla sua proprietà passerà la Tav Brescia-Verona. Sarà imbestialito. “Ma no, non ci creerà molti problemi, nonostante sarà uno dei cantieri più grandi della Brescia-Verona”, la prosecuzione verso est della famigerata Torino-Lione. “Gli espropri stanno andando avanti. Io sono convinto che a livello nazionale la Tav si farà. Coi numeri che fa la nostra città, come si fa a non volere la Tav?. Brescia è una città europea per esportazioni”. E' entusiasta.

    Secondo l'Aib, sempre, Brescia è il primo distretto in Italia per i prodotti in metallo e per la metallurgia, con 52 mila addetti. Il manifatturiero ha fatto più 16 per cento negli ultimi cinque anni. Si entra nell'ufficio e lui è intento ad aggiustare una tenda della finestra (imprenditori bresciani). A un certo punto si sente una scossa, lo stabilimento vibra tutto. Saranno già le ruspe? No, è il tondino che scalpita: a oltre mille gradi, l'acciaio viene fuso e riversato nel famoso rivetto d'acciaio, indispensabile per il cemento armato. Però, si obietta, i contrari alla Tav lamentano che rispetto al progetto originario il traffico delle merci è calato. “Ma quale calo?” si chiede Pasini: “Le esportazioni della provincia di Brescia sono salite del 7 per cento a 16,9 miliardi”. “L'alta capacità tra l'Italia e la Francia è fondamentale, noi abbiamo degli uffici anche a Lione. E stiamo usando ancora le ferrovie che ha fatto Cavour”.

    E il pregiato Lugana coi suoi vigneti? “Guardi, il tracciato prevede che una sola cascina verrebbe espropriata. Ma la smonterebbero e rimonterebbero com'era prima solo qualche chilometro più in là”. E la commissione costi-benefici? “Quando abbiamo fatto l'Autostrada del Sole secondo lei abbiamo fatto l'analisi costi-benefici? L'abbiamo fatto per unire il nord al sud, con una strategia. Adesso dobbiamo unire l'Europa. Il nord dell'Italia lavora con l'Europa”.

    Pasini in passato ha detto cose molto dure. “Sulle questioni economiche ci sentiamo abbandonati a noi stessi”, ha detto quando è andato a Torino coi Sì Tav (altro che madamine). Preparandosi a scendere in piazza. Oggi è più riflessivo, ma non troppo. “I Cinque stelle si stanno un po' avvicinando alle nostre posizioni, di noi imprenditori dico. Ma non mi illudo molto, credo che sia dovuto al fatto che siamo vicini alle elezioni. C'è una parte del governo che non è vicina al mondo dell'impresa”. E la Lega? “Con la Lega ci dialoghi. Il fatto è che è come in azienda: se hai un socio al 50 per cento che vuole fare una roba diversa da te, come fai?”.

    La settimana scorsa poi il Corriere della Sera ha organizzato a Brescia il “Family Business Festival” dedicato alle imprese familiari (forse perché a Milano tra MiArt e Salone del Mobile non c'era più posto). Sul palco, piccolo battibecco tra il Pasini e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Conte: “Non sempre la ricchezza di un'impresa si traduce nella ricchezza della comunità. Ci sono imprenditori che qualche volta hanno pensato ai dividendi e non a investire nell'impresa”, ha detto il premier. “Prima di ridistribuire la ricchezza bisogna crearla e l'impressione è che il governo sia miope”, ha risposto il presidente degli industriali. “Non sono contro il governo, ma con una crescita zero non si va da nessuna parte”.

    “Negli ultimi dieci anni abbiamo perso il 13-15 per cento di pil rispetto alla Germania, una montagna di crescita”, continua il boss degli industriali bresciani. “E guardiamo alla disoccupazione: nel 2009 a Brescia la disoccupazione era uguale ai migliori land tedeschi, intorno al 3,2 per cento, adesso sta tornando a quei livelli ma faticosamente. Loro invece non sono mai scesi”. Pasini si considera un po' tedesco perché ha uno stabilimento in Sassonia, “siamo andati su che era il 1992, c'era il disastro, tutto da ricostruire. Siamo andati a produrre nel più grande mercato europeo, sia come produzione che come consumo, con uno stabilimento passato da 350 dipendenti a 650. Quando dici Feralpi in Sassonia vedi che siamo considerati persone serie. E non era facile fare l'acciaio per i tedeschi”. Il confronto con questa seconda patria lo appassiona. “La Merkel ha tirato dentro 700 mila siriani, vuol dire che anche la Germania si pone il problema su chi saranno i nostri lavoratori di prossimi anni. Io se penso ai miei lavoratori dei prossimi vent'anni so che non saranno i figli dei miei operai attuali. Quelli andranno a scuola, all'università, all'estero. Ma noi abbiamo bisogno di operai, e quelli potranno essere immigrati. E li dovrai formare, li dovrai istruire. I miei bisnonni sono andati uno in miniera e uno in Argentina. E non è questione di buonismo. E' questione di opportunità”.

    Una cosa che accomuna Lonato alla Sassonia è anche il teleriscaldamento: “Col calore recuperato dai circuiti di raffreddamento dell'acciaieria scaldiamo gli edifici pubblici del comune di Lonato. Ma questo impianto è piccolo rispetto a quello che abbiamo in Germania, dove è stato realizzato il primo impianto al mondo di recupero di calore da forno, capace di generare 3 MW di potenza elettrica”.

    Del resto Brescia è stata la prima città in Italia a dotarsi di un sistema di teleriscaldamento: nel 1972, prima della grande crisi energetica seguita al 1973 (previdenza bresciana) si costruì la grande centrale in grado di riscaldare tutta la città risparmiando; all'inizio la centrale era alimentata a metano, ma poi negli anni è “powered by” il termovalorizzatore dei rifiuti, il torrione azzurro che scorre accanto alla Tangenziale e che brucia senza sosta la monnezza non solo bresciana. Il torrione ha vinto premi di bellezza in tutto il mondo: nel 2006 la Columbia University l'ha eletto il “miglior impianto del mondo”. Ma non è solo bello, fa risparmiare: a Brescia la Tari per le famiglie è la più bassa in assoluto in Lombardia. E oltre a smaltire i rifiuti e a produrre energia elettrica, recupera il calore generato e lo convoglia, attraverso una rete di teleriscaldamento di oltre 630 chilometri, fino alle abitazioni dei singoli utenti. Il torrione segna anche l'apice della relazione coi milanesi: infatti l'impianto è in capo alla A2A, la mega utility lombarda che vale 5 miliardi in Borsa, e ha inglobato dieci anni fa la Asm, potente municipalizzata bresciana, con la milanese Amsa, facendo storcere il naso a molti. In cambio però i bresciani siedono in parità, 50 per cento delle quote, nonostante la differenza di stazza delle due città. (Altrove, il genio bresciano del riuso si esprime a livelli più micro: a pochi chilometri da Lonato, a Calvisano, vecchie cave sono riempite d'acqua sempre d'acciaieria, acqua ricca ovviamente di ferro, che ora serve ad allevare gli storioni per il Calvisius, il caviale bresciano).

    Tondino e caviale, non sarebbe mica male. Qualcuno però è critico. Qualcuno scalpita. Sono i giovani. Lorenzo Maternini, cofounder di Talent Garden insieme a Davide Dattoli, probabilmente la realtà imprenditoriale più rilevante, a livello simbolico, che Brescia abbia sfornato negli ultimi anni. Trentenni globali, girano il mondo ad aprire i loro coworking che fanno concorrenza a gruppi come Wework in America (Dattoli è recentemente finito anche nei 100 leader under 30 della rivista Forbes).