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Il Foglio internazionale
“Una guerra culturale per le riforme”. Javier Milei a colloquio con Niall Ferguson
Politica, economia, woke e Israele. Il presidente argentino delinea una visione radicale in cui liberalismo economico, valori giudaico-cristiani e lotta al pensiero progressista diventano strumenti di rinascita nazionale. Un progetto politico fondato su identità, ordine e confronto globale
Il prerequisito per un miracolo economico è un disastro economico. Come ho scritto in queste pagine alla fine del mese scorso, il presidente argentino Javier Milei ha ereditato proprio un simile disastro dal suo predecessore peronista nel dicembre 2023: una moneta sull’orlo dell’iperinflazione, un’economia in contrazione, uno stato dipendente dal Fondo monetario internazionale. Ciò che ha realizzato nel successivo anno e mezzo è una delle meraviglie dell’economia mondiale di oggi”. Così Niall Ferguson sulla Free Press, dove intervista Milei.
Niall Ferguson: Che cosa hai imparato da quando sei diventato presidente e che non sapevi prima?
Javier Milei: Ho sempre pensato che i politici fossero esseri veramente orribili e spregevoli. Quando sono entrato in carica, dopo diversi mesi come membro del Congresso, un giornalista mi ha intervistato e mi ha chiesto cosa pensassi dei politici. Io ho risposto che mi ero sbagliato. Ma il giornalista è intervenuto con una forte difesa dei giornalisti, interrompendo la mia risposta. Quello che volevo dire era che mi ero sbagliato perché non avevo detto tutta la verità, cioè che i politici sono molto peggiori di quanto immaginassi. Una delle cose che mi dà fastidio in questo lavoro è che devo passare circa il 50 per cento del mio tempo a combattere contro chi mente, diffama e calunnia solo per il gusto di distruggere. Sai, costruire è molto difficile. Distruggere è molto facile. E pensi che la minaccia maggiore alle tue riforme provenga proprio da quell’opposizione politica che ha dominato la politica argentina per gran parte del periodo postbellico? La distruzione non viene solo dall’opposizione politica. Noi li chiamiamo il partito dello stato, il partito del governo. Quello che bisogna capire è che stiamo combattendo per cambiare la direzione in cui l’Argentina è andata negli ultimi 80 o 90 anni, quasi 100 direi. Ciò significa rompere lo status quo. Ci sono molti gruppi che traggono beneficio dal vecchio sistema. Questo non include solo politici corruttori, ma anche imprenditori clienti e media corrotti. Sono coinvolti anche i leader dei sindacati. E poi c’è tutta una serie di professionisti che cercano di stabilire l’agenda, i quali sono anch’essi subordinati a quel partito dello stato. Quindi, ovviamente, chiunque tenti di rompere uno status quo che favorisce così tanto questi soggetti sarà sempre loro nemico. Consentimi di essere un po’ crudo. C’è un libro molto famoso sulla politica economica argentina, scritto da Richard Mallon e Juan Sourrouille, intitolato “Economic Policymaking in a Conflict Society”. Ho detto al professor Juan Carlos de Pablo, quando ci siamo incontrati: “Dobbiamo scrivere un nuovo libro, sulla stessa linea tematica, ma che abbia come titolo ‘Politiche economiche in una società di figli di puttana’”. Fortunatamente, le basi dell’economia sono molto solide, il che ci permette di affrontare con grande sicurezza questo tipo di attacchi. Ma loro sono disperati, essendo un anno elettorale, e sono capaci di tutto.
E’ corretto dire che la tua risposta a questa “società di figli di puttana” è stabilire delle regole? Il nostro governo sta lavorando su tre fronti. Il primo è quello dell’amministrazione. Equilibrio fiscale, controllo più rigoroso sulla quantità di moneta e un bilancio sano della Banca centrale. Questa è la parte legata all’amministrazione concreta del governo. Il secondo fronte riguarda lo sviluppo degli strumenti necessari per essere competitivi. Ma neanche questo basta da solo. Questi risultati sono una condizione necessaria, ma non sufficiente. Devono essere accompagnati dalla guerra culturale, che è il nostro terzo fronte. Altrimenti, quando il governo e l’amministrazione finiscono, tutto svanisce nel nulla. L’unico modo per garantire la sostenibilità di queste riforme è combattere la guerra culturale. +
Pensi che questa situazione sia peculiare dell’Argentina, visto che la crisi economica e i problemi dello stato sono stati particolarmente gravi? Oppure il mileismo può essere esportato anche in altri paesi? Penso che possa essere esportato, perché in sostanza abbiamo dimostrato che l’analisi economica tradizionale è asservita a quei politici ladri. Ci sono casi veramente osceni, come il keynesismo. Ma anche l’economia neoclassica concede una porta aperta all’interventismo statale. Penso, per esempio, a “La strada della schiavitù” di Friedrich Hayek, e al percorso che conduce a dosi crescenti di socialismo. Infatti, gli economisti neoclassici ritengono che le tasse debbano essere imposte per finanziare i beni pubblici e che l’intervento statale esista perché ci sono fallimenti di mercato. Qui entra in gioco la mia visione ed è fondamentale. Per me, il mercato è un processo di cooperazione sociale in cui i diritti di proprietà sono scambiati volontariamente. Di conseguenza, per definizione, non esistono fallimenti di mercato. E quindi non c’è alcuna ragione per l’intervento dello stato.
Quindi la tua visione prevede un ruolo molto ridotto dello stato nell’economia. Senza dubbio. Puoi darmi un’idea di quali sarebbero queste riforme radicali che avvicinerebbero l’Argentina al tuo ideale di anarco-capitalismo? Il nostro obiettivo è diventare il paese più libero al mondo, e le riforme di seconda generazione sono la riforma fiscale, la riforma del lavoro e una maggiore apertura al mondo sul piano commerciale.
C’è una cosa che per me resta un enigma. Perché il mondo, nel suo insieme, sta andando in una direzione diversa, allontanandosi dalle soluzioni di mercato? Com’è possibile che la tua relazione con il presidente Donald Trump sopravviva, considerando che tu sei un libertario impegnato nell’apertura economica mentre lui porta avanti politiche di dazi e politiche industriali? Sembra che stiate andando in direzioni opposte. Eppure il vostro rapporto appare molto stretto. Beh, ci sono due piani in questa questione. Il primo è che entrambi affrontiamo lo stesso nemico, il socialismo in tutte le sue varianti, che sia comunismo o wokeismo. Quindi, questi sono i nostri avversari, ed è chiaro. Il secondo aspetto riguarda il fatto che non puoi applicare la teoria economica nel vuoto.
Devi anche comprendere la geopolitica. Potrei adottare un’apertura totale del commercio, radicale alla maniera di Adam Smith, ma siamo davvero disposti a chiudere un occhio su chi detiene il controllo globale di risorse strategiche come l’uranio? Ti sentiresti tranquillo se tutta la produzione mondiale di uranio fosse in mano a regimi come la Corea del Nord o l’Iran? I modelli economici tradizionali sono troppo semplicistici: trascurano le preferenze degli attori, la gestione del rischio, la prospettiva temporale e soprattutto le dinamiche geopolitiche. E’ chiaro che un regime alla Adam Smith non ha senso se la Cina gioca secondo le proprie regole di mercantilismo. La Cina sta portando avanti una strategia globale, e il Sud America fa parte di quella strategia. Direi che questa è una grande circostanza attenuante rispetto a quello che sta facendo Trump.
Vedi il mondo come immerso in una nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti? Quello che vedo è un mondo che continuerà a raggrupparsi in blocchi regionali. Gli Stati Uniti manterranno la leadership nella regione americana, la Cina guiderà l’Asia e la Russia seguirà una propria strada. Ma la situazione in Europa, a causa del contagio intellettuale del wokeismo, è piuttosto complessa.
Hai detto che un altro rapporto chiave per te è con Israele. Questo è in parte un legame personale, legato a tuo nonno ebreo. Eccoci qui, alla fine di una settimana in cui i governi francese e britannico hanno annunciato il riconoscimento di uno stato palestinese. Qual è la tua reazione a tutto ciò? Che si sbagliano. Il wokeismo ha contaminato così tanto il loro modo di pensare da non far loro capire quanto sarebbe un errore. Israele è attaccata su due fronti. Da una parte, l’attacco proviene da regimi che auspicano la scomparsa di Israele. E’ quindi del tutto legittimo che Israele voglia difendersi. Questi assassini, che vogliono cancellare Israele, hanno trovato un alleato inaspettato: la sinistra. In sostanza, Israele rappresenta il cuore stesso del capitalismo, perché il capitalismo si fonda sui valori della cultura giudaico-cristiana. La sinistra quindi non attacca Israele per il solo gusto di farlo, ma per colpire le basi del capitalismo. Perciò, schierarsi contro Israele è, in fondo, un suicidio. C’è una contrapposizione più grande, tra bene e male, tra libertà e democrazia da una parte e totalitarismi e assassini dall’altra. Ho deciso di schierarmi con il bene e contro la massa woke e la loro stupida interpretazione della libertà, da cui deriva la narrazione degli oppressori contro gli oppressi, che in fondo è post marxismo. Hanno trasferito la lotta di classe ad altre questioni — donne contro uomini, neri contro bianchi, l’agenda dei popoli indigeni, l’agenda Lgbt, l’agenda climatica, l’uomo contro la natura. L’espressione più violenta di tutto questo è l’agenda dell’aborto, mascherata da bontà, quando in realtà è un’agenda sanguinaria. A meno che l’Europa non si distacchi da quest’agenda, sarà condannata a sparire. Il suo certificato di morte inizierà a essere scritto il giorno in cui prenderà posizione contro Israele. Israele continuerà a sopravvivere. Sempre. La storia dimostra che Israele ha resistito a ogni sorta di aberrazioni perché unisce la vita materiale con la vita spirituale. Quindi non potranno distruggere Israele. Ma per chi non ha una base spirituale, l’agenda post-marxista contaminerà tutti i settori della società, portando al declino dell’Europa come la conosciamo. Mi sembra che il tuo libertarismo abbia radici in un senso di moralità e nei valori giudaico-cristiani. Ottima osservazione. Perché tutte le nostre decisioni politiche sono fondate sulla moralità.
Traduzione di Giulio Meotti