
(foto EPA)
un foglio internazionale
L'impero del sole calante
Il Giappone, che si credeva potente e in pace, ora si scopre vulnerabile e disarmato. Una lezione fondamentale per l’occidente. Un articolo di Nicolas Baverez
"Il 22 luglio, Donald Trump ha annunciato la conclusione di un accordo commerciale con il Giappone” scrive Nicolas Baverez sul Figaro. “Definito storico, l’accordo combina misure operative e immediate, con un aumento dei dazi doganali sulle esportazioni giapponesi fissato al 15 per cento rispetto al 25 originario, a vaghi impegni ad aprire il mercato giapponese ai veicoli e ai prodotti agricoli americani e a far sì che le aziende nipponiche investano 550 miliardi di dollari negli Stati Uniti. La pubblicazione dei risultati dei negoziati è stata ritardata per non compromettere le chance del Pld (Partito liberal democratico) alle elezioni senatoriali, in ragione della prevedibile opposizione degli agricoltori all’apertura del mercato alle esportazioni americane. Ciò non ha comunque impedito alla coalizione di governo guidata dal primo ministro Shigeru Ishiba di subire una cocente sconfitta, dopo quelle subite alle elezioni legislative dell’ottobre 2024 e alle elezioni per il governo di Tokyo. Con soli 122 seggi su 248, è ora in minoranza in entrambe le camere, una situazione inedita dal 1955. Queste elezioni segnano una drammatica accelerazione della crisi della democrazia giapponese. Tenuto conto della frammentazione dell’opposizione e dell’assenza di una coalizione alternativa, è probabile che il Pld continui a guidare un governo di minoranza, che negozierà accordi opportunistici in Parlamento per garantire la propria sopravvivenza. Le dimissioni del primo ministro sono inevitabili a lungo termine, ma probabilmente saranno rimandate per mancanza di un successore. Il sistema politico diventa così sempre più instabile e impotente. La novità, per la prima volta dal 1945, è l’irruzione di un partito populista alla destra del Pld. Sanseito, il cui motto è ‘Prima i giapponesi’, ha ottenuto 15 seggi.
Fondato cinque anni fa durante la pandemia di Covid sull’ostilità nei confronti dell’Oms e dell’industria farmaceutica, è guidato da Sohei Kamiya, un transfuga del Pld, che gli ha dato una linea nazionalista, isolazionista e risolutamente ostile all’immigrazione. E’ riuscito a mobilitare una parte dell’elettorato tradizionale del Pld, oltre a un certo numero di elettori che avevano rinunciato a votare, grazie a un uso molto efficace e intenso dei social network, in particolare di YouTube. Le ragioni della sconfitta del PdL sono tre. In primo luogo, le conseguenze del crollo demografico. Con un tasso di fecondità sceso a 1,2 figli per donna, la popolazione giapponese continua a ridursi dal 2011 e passerà da 123 milioni a 63 milioni entro il 2100. La popolazione attiva si è stabilizzata a circa 70 milioni solo grazie alla mobilitazione di donne e anziani, ma anche all’immigrazione. Il numero di stranieri rimane molto basso, limitato a 3,77 milioni alla fine del 2024, ma è aumentato del 10,5 per cento in un anno. C’è poi l’impoverimento della popolazione, causato da tre decenni di deflazione che hanno bloccato la crescita (0,1 per cento nel 2024) e azzerato i salari, oggi quattro volte inferiori a quelli degli Stati Uniti. Il calo del potere d’acquisto è stato amplificato dal crollo del 40 per ceto dello yen e dalla ripresa dell’inflazione dal 2022. L’inflazione si attesta ora al 3,5 per cento annuo, con un’impennata del prezzo del riso del 65 per cento e dell’elettricità del 20. Di conseguenza, i giapponesi non possono più permettersi di viaggiare all’estero; in compenso, assistono allo sviluppo del turismo di massa nel loro paese – ora il più economico del mondo sviluppato – con 3,7 milioni di viaggiatori nel maggio 2025, in aumento del 21,5 per cento rispetto al maggio 2024, acuendo il loro sentimento di espropriazione. Infine, i giapponesi hanno preso coscienza del declassamento del loro paese, soppiantato dalla Cina come seconda economia mondiale nel 2010, poi dalla Germania come terza nel 2023, prima di cedere alla stessa Germania nel 2024 la posizione di primo creditore mondiale, che aveva detenuto per trentaquattro anni (3.250 miliardi di euro contro 3.500). Lungi dall’essere congiunturali, queste difficoltà riflettono l’implosione del modello che ha sostenuto la ricostruzione del Giappone dal 1945 in poi. I suoi princìpi sono rimasti immutati: una democrazia inquadrata da un alto livello di controllo politico e sociale; un’economia orientata all’esportazione di prodotti industriali e all’America – che assorbe il 20 per cento delle esportazioni per un valore di oltre 150 miliardi di dollari –, parzialmente liberalizzata ma ancora sotto il controllo dello stato; la scelta del pacifismo sancita dall’articolo 9 della Costituzione del 1946, rassicurata dall’alleanza con gli Stati Uniti e dalla loro garanzia di sicurezza –, concretizzata dalla presenza di 50 mila soldati, della Settima flotta forte di 60-80 navi e 250 aerei da combattimento di ultima generazione nell’arcipelago. Tutti questi pilastri del miracolo giapponese sono ora fortemente e durevolmente indeboliti. Il Giappone, che si credeva potente e in pace, si sta scoprendo vulnerabile e disarmato. La crescita potenziale è stata spazzata via dal declino demografico e dai postumi di tre decenni di deflazione, aggravati dal caos energetico causato dal disastro di Fukushima. Il pacifismo sta diventando una pericolosa illusione in un’epoca di imperi e nella regione più pericolosa e contesa del mondo, dove si intersecano le ambizioni imperiali della Cina per Taiwan e il mare della Cina meridionale, l’espansionismo bellicoso della Russia, il ricatto nucleare della Corea del Nord e il desiderio degli Stati Uniti di difendere la propria leadership. Allo stesso tempo, il legame esistenziale che ha legato il Giappone – come la Germania – all’America dal 1945 viene eliminato da Donald Trump, sia dal punto di vista economico che strategico. Infine, il monopolio di fatto del Pld, che ha garantito la stabilità delle istituzioni e l’efficienza dello stato, sta ora alimentando l’immobilismo, l’incapacità di riformarsi e l’estremismo. Ciò è tanto più vero se si considera che non c’è spazio di manovra nel bilancio a causa dell’eccessivo indebitamento dello stato, che ha raggiunto un picco del 222 per cento del pil. Il Giappone è quindi un laboratorio dei rischi associati all’invecchiamento, alla deflazione e all’eccessivo indebitamento, nonché alla scommessa sul soft power scollegato dall’hard power. Ricorda a tutti i paesi sviluppati che il declino demografico porta alla rovina economica; può essere rallentato ma non fermato dall’intensificazione del lavoro, dalla robotizzazione e dall’allocazione ottimale del capitale. Fa luce sui difetti del modello cinese che stanno facendo vacillare il potere assoluto di Xi Jinping, con la combinazione di declino demografico, deflazione, crisi immobiliare ed eccessivo debito pubblico e privato. E lancia un ultimo monito all’Europa sui rischi del declassamento, sulla necessità di ristabilire la propria sovranità e garantire la propria sicurezza, in un mondo dominato da imperi in cui la forza ha la precedenza sul diritto”.
(Traduzione di Mauro Zanon)