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“Fratelli occidentali, basta sensi di colpa”. L'algerino Daoud contro la nuova inquisizione

Sopraffatti da quei tribunali permanenti che sono i social, non c’è più spazio per una riflessione sull’ecologia, sull’etica e sulla confessione, sull’estremismo e sul post colonialismo di rendita, sulle storie locali o sulla morte del significato

Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì


 

"Il senso di colpa ucciderà l’occidente?”, si domanda Kamel Daoud, intellettuale e scrittore algerino. Ha vinto il premio Goncourt du premier roman per “Mersault, contre- enquête” (Actes Sud). Il suo ultimo libro è “Zabor ou les psaumes” (Actes Sud). “Moltiplicare per migliaia le genuflessioni, disossarsi fino a tenere soltanto le proprie palpebre abbassate, autodistruggersi, censurarsi, fare ammenda e poi dissolversi lentamente nel tormento e nella restituzione dei beni e delle ricchezze, nello svuotamento dei musei e nelle scuse… È questo il futuro del mostro scintillante di questa geografia che ha una lunga storia di ingiustizie e di ideali? Essere flagellati fino alla morte?

 

Ad alcune persone piacerebbe veder morire l’occidente in questo modo, in un pentimento che si completerà con una sparizione contrita. È quasi come un cumulo di cenere che ci si immagina la grande vittoria sulla negazione della realtà. Saranno allora appagate sia la rabbia sia la memoria delle vittime, secondo l’agenda dell’intellettuale del “sud”. Ma da quel momento in poi, dove andare per godere dei propri diritti ed esprimere le proprie opinioni politiche, dato che dopo la morte dell’occidente democratico sopravvivranno soltanto le dittature dove non si può più dire niente? Che fare del corpo castigato che ci piaceva tanto odiare?

 

La tendenza stimola la riflessione: qual è oggi la funzione di un intellettuale del sud o di quello delle minoranze in occidente, oltre ad affinare il processo permanente contro l’occidente? Siamo destinati soltanto a comporre tribunali e a emettere verdetti? Nel sud, da un po’ di tempo, non si trova più traccia di impegni locali. La vocazione dell’intellettuale a essere il capo dei colpevolizzatori occulta e degrada tutto il resto: non c’è più spazio per una riflessione sull’ecologia, sull’etica e sulla confessione, sull’estremismo e sul post colonialismo di rendita, sulle storie locali o sulla morte del significato.

 

Si è appena emersi dopo aver vissuto o subìto una dittatura che già ci si rivolge verso l’occidente, con la valigia o con lo spirito, per accusarlo e fare di questo ruolo di accusatore un mestiere. Domanda ingenua: un intellettuale del sud non è forse nulla più che un procuratore del nord al nord? La colpevolizzazione diventa stucchevole a forza di ripetersi, sospetta a forza di entusiasmi”.

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