fauna d'arte
Solidificare l'acqua (con l'arte). Pietroniro, materia, spazio e sogno in continuo movimento
Dallo studio alle installazioni urbane, l’artista italo-canadese reinventa lo spazio e trasforma la materia in poesia visiva. Così l’arte diventa un laboratorio per interrogare il confine tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo
Nome: Giuseppe Pietroniro
Luogo di nascita: Toronto, Canada
Gallerie di riferimento e contatti social: Instagram
Intervista
Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola
In che modo hai iniziato a fare l’artista?
È stata la conseguenza di un processo abbastanza naturale, quasi per necessità, attraverso una progressiva consapevolezza del linguaggio visivo come mezzo espressivo e comunicativo. Fin dai primi anni di formazione ho sentito una forte inclinazione verso l’osservazione delle arti visive, che mi ha spinto a intraprendere studi mirati, frequentando il liceo Artistico, dove avuto la fortuna di avere come docente Ettore Spalletti, e l’ Accademia di Belle Arti.
Poi, studiando, sperimentando e confrontandomi con il contesto artistico, e lavorando presso lo studio di Joseph Kosuth, ho capito che l’arte non era solo un linguaggio personale, ma anche un modo per dialogare con gli altri e portare alla luce domande e riflessioni. Così è diventata non solo una pratica individuale, ma un linguaggio e anche un’attività di ricerca che intreccia esperienza, riflessione e relazione con il contesto sociale e culturale.
Come lo studio della scenografia ha influenzato il tuo modo di fare arte?
Lo studio della scenografia ha avuto un impatto profondo sul mio modo di fare arte. Mi ha insegnato a pensare lo spazio non solo come un contenitore, ma come un elemento narrativo attivo. Non si è trattato solo di una formazione tecnica, ma di un vero e proprio cambio di prospettiva: ho imparato a pensare lo spazio come materia viva, come parte integrante dell’opera, e non solo come un contenitore in cui inserire elementi. Uno degli aspetti che più ha influenzato il mio lavoro è la progettazione dello spazio in funzione della percezione dello spettatore. Dalla scenografia ho ereditato la capacità di costruire ambienti che guidano lo sguardo, che suggeriscono un movimento, un percorso relazionato a un contesto, ogni intervento è sempre un dialogo con l’architettura, con la memoria del luogo e con la sua funzione. Inoltre, mi ha aiutato a ragionare in termini di atmosfera e suggestione. Questo approccio lo porto in ogni mio progetto installativo, dove nulla è neutro o dato per scontato.
Che aspetti della spazialità ti interessa indagare attraverso la tua pratica artistica e perché?
Mi interessa l’indagine della spazialità come materia, che cambia in base al alla percezione della presenza umana. Mi incuriosisce come il vuoto e il pieno si bilanciano, come il corpo abita lo spazio e come i materiali dialogano con l’ambiente circostante. La mia pratica si concentra su strutture che sollecitano la percezione sensoriale e incoraggiano un'esplorazione fisica del luogo, lo discutono e tentato di espanderlo percettivamente.
Qual è la funzione dell’arte oggi?
La funzione dell’arte oggi non è più univoca come poteva essere in altri periodi storici anche del recente passato. Oggi l’arte si muove in un panorama complesso e frammentato, dove convivono molte funzioni diverse determinate dal contesto socio-politico-culturale. In un mondo dominato dai social e dalla comunicazione di massa, l’arte rimane ancora uno spazio di libertà personale e di esplorazione.
Com’è organizzata la tua giornata?
Non ha una regolarità, è condizionata da diversi fattori e dallo stato d’animo. Alterno momenti di immersione nel contesto urbano, con lunghe camminate incontri e altro, ad altri più quieti, dedicati alle pratiche quotidiane e all’ozio. Sono circostanze che pongono una distanza formativa dalla pratica del lavoro, come spazi muti in cui ogni cosa tenta di stare in equilibrio. La mia giornata ruota quasi completamente intorno allo studio, è il mio spazio vitale, il luogo dove tutto prende forma. Mi piace arrivarci la mattina presto, quando c’è ancora silenzio e la mente è più libera e osservare la luce che entra, è quasi un rito, è da lì che inizia la giornata, dal modo in cui lo spazio respira. In studio di solito inizio con un momento di preparazione. La mattinata la dedico alla parte più psico-fisica del lavoro. A volte metto musica, altre volte preferisco il silenzio totale, per ascoltare i suoni dello studio. Il pomeriggio diventa più riflessivo e progettuale. La parte del processo di lavoro entra spesso nel mio pensiero anche quando non sto costruendo materialmente. La giornata finisce quando non sono più sincronizzato. Prima di andare via, mi piace osservare il caos lasciato in studio e poi riordinare tutto. Questo gesto quasi religioso mi dà equilibrio e diventa testimone.
Che cos’è per te lo studio d’artista?
Lo studio d’artista è un non luogo, un estensione della mente, un confine. È lo spazio sospeso tra il visibile e l’invisibile, dove la materia si lascia attraversare dal pensiero e l’intuizione prende forma. È un tempio laico dove l’artista dialoga con ciò che non ha ancora nome, forma e significato. Dove l’artista si fa mediatore tra due realtà quella interiore e quella esterna.
Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?
La memoria del tempo, lo spazio che abito, la storia che mi insegna, la curiosità che me mi accompagna nell’osservare la natura, i temporali, il vento, il caldo estivo, l’energia delle grosse onde del mare e le trasformazioni culturali. Se fossi ancora un studente avrei indicato un lista di artisti e pensatori che ho studiato e guardato, tra tutti le riflessioni di Georges Perec, Marshall McLuhan, Michel Foucault, le riflessioni pittoriche di Magritte e la metafisica di De Chirico.
Che rapporto sussiste tra realtà e illusione all’interno delle tue opere?
Il rapporto tra realtà e illusione nelle mie opere è profondamente intrecciato: non si tratta di due dimensioni opposte, ma di due livelli che si sovrappongono e si contaminano. La realtà non è mai rappresentata in modo oggettivo, bensì filtrata attraverso la percezione, la memoria e il desiderio dei personaggi o del narratore.
L’ illusione diventa quindi uno strumento per rivelare la verità nascosta dietro l’ apparenza; ciò che è “irreale” spesso si avvicina più di quanto sembri all’autenticità dell’esperienza umana.
In altre parole, l’illusione non nega la realtà, ma la rivela, mostrando come ogni individuo costruisca il proprio mondo attraverso interpretazioni, sogni e autoinganni. È proprio nello spazio ambiguo tra ciò che è vero e ciò che è immaginato che nasce la tensione poetica delle mie opere.
A che cosa stai lavorando?
A come si può solidificare l’acqua senza interpellare le basse temperature….
Le opere
Giuseppe Pietroniro, Relax_, 2002,Installazione Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 120 x 100 x 90 cm, resina, tecnica mista e video, Courtesy Giampaolo Abbondio, ph Archivio Pietroniro
La mente ama l'ignoto. Ama le immagini il cui significato è ignoto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto.
RENÉ MAGRITTE
Giuseppe Pietroniro, Risonanza, 2011, 500 x 200 cm, acciaio spazzolato e legno, Fondazione Merz, Torino, Courtesy Pietro Faruffini, ph Simona Cupoli
Il mondo è così totalmente e meravigliosamente privo di senso che riuscire ad essere felici... non è fortuna, è arte allo stato puro.
RenÉ MAGRITTE
Giuseppe Pietroniro, IN_Stability, 2021, 350 x 250 x 10 cm, acciaio cromato, Courtesy Archivio Pietroniro, ph Fabrizia Basile
La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione.
RENÉ MAGRITTE
Giuseppe Pietroniro,Disegno, 2018-Matita su carta, 35 x 25 cm. Courtesy Archivio Pietroniro
La potenza intellettuale di un uomo si misura dalla dose di umorismo che è capace di utilizzare.
GIORGIO DE CHIRICO
Giuseppe Pietroniro, All in one, 2025, I.I.C Belgrado, Courtesy Archivio Pietroniro, Foto Marijana Janković
Ci sono più enigmi nell'ombra di un uomo che cammina sotto il sole che in tutte le religioni passate, presenti e future.
GIORGIO DE CHIRICO
Giuseppe Pietroniro, All in one,2025, I.I.C Belgrado, Courtesy Archivio Pietroniro, Foto Marijana Janković
Tali luoghi non esistono, ed è perché non esistono che lo spazio diventa problematico", e "Il problema non è di inventare lo spazio, ancor meno di reinventarlo... ma di interrogarlo, o, più semplicemente, di leggerlo
Georges Perec
Giuseppe Pietroniro, Segno, 2011, Ø 220 cm, vetroresina, Courtesy Galleria Cardi, Milano, ph Simona Cupoli
In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?
GEORGES ORWELL
Giuseppe Pietroniro, Modulo Pinto, 2021, 190 x 190 cm, acrilico industriale su tela, Courtesy Archivio Pietroniro, ph Roberto Apa
Se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera.
GEORGES ORWELL
Giuseppe Pietroniro, Modulo Pinto, 2021, 190 x 190 cm, acrilico industriale su tela, Courtesy Collezione Cianfoni, ph Roberto Apa
Un punto di vista può essere un lusso pericoloso se si sostituisce all'intuizione e alla comprensione.
MARSHALL MCLUHAN
Giuseppe Pietroniro, Modulo, 2011, carta vinilica su carta cotone, 250 x 350 cm, Courtesy Galleria Cardi, Milano, Ph. Archivio Pietroniro
Noi diventiamo ciò che vediamo. Diamo forma ai nostri strumenti e poi i nostri strumenti danno forma a noi.
MARSHALL MCLUHAN