Fauna d'arte

Stanislao Di Giugno: “Dipingo il tempo, non lo spazio”

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

L’artista racconta la sua opera come costruzione di luoghi mentali e stratificazioni di vita: “Ogni quadro è un frammento di tempo sospeso”. Dal color field painting ai filosofi contemporanei, un'indagine sul confine tra pittura e pensiero. “Nel mio studio cerco la calma per sbagliare”

Nome e cognome: Stanislao Di Giugno

Luogo e anno di nascita: Roma, 1969

Gallerie di riferimento e contatti social: Galleria Tiziana Di Caro, Napoli

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L'intervista

Intervista realizzata in collaborazione con Anna Setola

  

La tua ricerca artistica ha attraversato fasi e linguaggi diversi. Qual è l’elemento di continuità che riconosci?

Ho usato diversi media e il mio approccio al lavoro è cambiato molto negli anni ma andando a ritroso riconosco sempre degli elementi ossessivi che conferiscono coerenza a tutta la produzione. In sintesi direi che il mio lavoro mette in discussione lo spazio, sia concettualmente che fisicamente. Non ho mai rappresentato la realtà così com’è. Nei miei lavori pittorici la tela stessa diventa spazio, non rappresento lo spazio sulla tela. La tela si struttura diventando un altro spazio, un oggetto che ha le sue peculiarità.

  

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

In ordine sparso i primi che mi vengono in mente sono Richard Diebenkorn, Willem de Kooning, Frank Stella, Barnett Newman e in generale gli espressionisti astratti americani soprattutto quelli legati al color field painting. Difficile fare un elenco esaustivo. L’archittettura di Oscar Niemeyer per esempio mi provoca le stesse emozioni di un opera d’arte visiva. Werner Herzog anche ha influito molto sul mio modo di guardare le immagini. Leggo principalmente saggi di filosofi: Nietzsche, Gilles Deleuze, Herbert Marcuse, Giorgio Agamben. Mi stimola l’aspetto speculativo del loro pensiero. Mi costringe a moltiplicare i punti vista.

 

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Non so dire esattamente, forse da bambino quando già ero attratto e collezionavo oggetti che trovavo sulla spiaggia o in spazi dismessi? Mi viene in mente una massima di Confucio: «Abbiamo due vite. La seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne solo una». Studiavo Medicina all’università ma sentivo sempre più forte che quella non era la mia vita.

 

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Una bolla dove poter sbagliare al riparo da sguardi altrui.

    

Come ti rapporti al concetto di temporalità?

La ricerca sullo spazio che ho indicato come trait d’union del mio lavoro non può che essere indissolubilmente legata al tempo. I miei dipinti nascono senza un progetto ma si strutturano nel tempo per stratificazioni successive. Sono come tanti frames ma sovrapposti in unico spazio. In Pangea, un lavoro sonoro di 20 anni fa, sovrapponevo la versione strumentale di tutti gli inni nazionali in modo che suonassero all’unisono. In un video dello stesso periodo, una videocamera fissa riprende dall’alto uno spazio pubblico vuoto e non caratterizzato, dove le persone entrano ed escono di scena in slow motion come se vagassero senza meta in uno spazio/tempo indefinito. In una mostra del 2023 organizzata a Roma con la galleria Tiziana Di Caro, dal titolo Temporary Statements, i lavori sono il risultato di un costante ritorno su opere già dipinte, modificandole attraverso nuovi strati di colore che si sovrappongono, ma mai del tutto ai precedenti, in una sorta di rituale che insiste sulla dimensione relativa allo spazio e al tempo. Un quadro finito è come un condensato temporale fatto di stratificazioni di tempi e umori, anche molto diversi e discordanti, che trovano una ragione di coesistere spazialmente.

 

Com’è organizzata la tua giornata?

Ora che ho lo studio vicino casa, faccio una passeggiata cercando di allungare e cambiare leggermente il percorso ogni giorno, con la speranza di vedere qualcosa che ancora non ho visto. La mattina cerco di capire che cosa devo fare per arrivare all’azione. Monto un telaio, taglio la tela e guardo quello che ho fatto negli ultimi giorni. Seleziono, scarto. Mi convinco di alcune soluzioni ne elimino altre. Monto su la giusta ansia per iniziare a dipingere. Ok ci sono, metto su la musica per isolarmi ancora di più dal mondo esterno ma ho già fame ed è già ora di pranzo. Non posso iniziare a dipingere e smettere dopo poco. Non voglio interruzioni mentre dipingo. Devo sapere di non avere nessun impegno neanche in serata. So quando inizio ma non posso sapere quando finirò. Finisco quando sono esausto e riprendo la mattina dopo. Ci sono giorni in cui la mano e il cervello sono una cosa sola e scivolano facili, altri in cui pensi che forse sarebbe stato meglio non iniziare proprio. In questi giorni “no” in genere lascio tutto e vado a nuotare. La routine del nuoto come azione di respiro continua e ripetuta riporta la calma smarrita, ma ormai sono troppo calmo e svuotato per rimettermi a lavoro. Riproverò domani.

 

A che cosa stai lavorando?

Sinceramente a niente di preciso. Non ho un progetto che devo realizzare. Non amo la parola progetto. Per me il problema è sempre lo stesso: andare in studio e portare a casa una vittoria, che consiste nel vedere un avanzamento nel lavoro o intravedere delle possibilità nuove all’interno della mia ricerca. Generalmente dopo alcuni mesi o un anno di lavoro è come se si chiudessero dei cicli, come se concludessi o si esaurisse la spinta a indagare determinate dinamiche interne alla mia ricerca pittorica. In quest’ultimo anno solare ho terminato un ciclo a cui potrei dare un titolo che anche questa volta riguarda un aspetto temporale. Il Titolo è Tempo sospeso, a sottolineare un tempo che non è cronologico. Un tempo che rifugge la quotidianità intesa come eventi quotidiani, politici, sociali, che riguardano tutti e riguardano anche me, ma che lascio fuori dalla mia pratica artistica. Un “Tempo sospeso” che quindi crea uno spazio altro che possiamo chiamare contemplativo, meditativo, spirituale.

 

Attraverso le tue opere che tipo di rapporto vuoi costruire con il fruitore?

Le opere nascono per la mia necessità di metterle al mondo. Non mi sono mai posto il problema del fruitore. Certo ci si può chiedere se l’opera esiste se la vedo solo io che sono l’autore. Una volta che è di tutti ognuno è libero di farci o vederci quello che vuole. Anzi credo che più un lavoro sia aperto ed enigmatico maggiore sia la sua forza.

 

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Nessuna se non rendere visibile quello che abbiamo sotto gli occhi ma non riusciamo a vedere o dare forma come nel sogno a cose che abbiamo dentro di noi e che non sapevamo di avere.


   

Le opere

   

Installation view ArteFiera Bologna, 2022.

  

Il mio processo creativo si basa sulla frustrazione, sulla confusione e sulla sensazione di essere bloccati.

  

Dettaglio n.3, 2021, acrilici su ferro galvanizzato, cm 25,5 x 4 x 4, © Danilo Donzelli Photography.

   

All'interno dei linguaggi visivi astratti persistono interrogativi fondamentali. Interrogano il dipinto come oggetto, come residuo del gesto, come presenza piuttosto che come rappresentazione.

 

Untitled, 2023, acrilici su tela, 190x120 cm. Courtesy dell’artista e galleria Tiziana Di Caro / © Giorgio Benni

  

Un dipinto è finito quando ciò che ha causato la realizzazione del dipinto ritorna come oggetto.

 

Dettaglio #11, 2023, acrilici su alluminio, cm. 50x5x2,5 vista di tre quarti destra. Courtesy dell’artista e galleria Tiziana Di Caro / © Giorgio Benni

   

Un dipinto non fornisce alcun messaggio specifico se non se stesso per condurti verso la comprensione di qualcosa che va oltre l’arte.

 

Sfregio, engraved art magazines, 2020, © Roberto Apa

   

Quando i bambini imparano a leggere smettono di fare arte perché qualcosa deve significare qualcosa e le opere d'arte non significano nulla.

  

Installation view Deserted corners, collapsing thoughts, Galleria Tiziana Di Caro, Napoli 2016 © Danilo Donzelli Photography

  

I dipinti possono essere letti come paesaggi, non in senso letterale, ma come spazi strutturati definiti da primo piano e sfondo. Aprono prospettive sia verso l'esterno che verso l’interno.

 

Installation view Cinque Mostre 2017: Vision(s), American Academy in Rome, © Altrospazio Photography

  

Mi piace quando un dipinto sembra aver attraversato qualcosa per diventare altro.

 

Installation View, Granpalazzo 2016.

  

Dipinti in cui motivi minimalisti si dispiegano in sistemi intricati. Griglie e bordi sfumati emergono attraverso stratificazioni cromatiche e sottili interruzioni, invitando in un mondo che costruisce una propria logica.

  

Wien Sensation #3, 2015, Gesso and acrylic on canvas, 45x35 cm,Sammlung Lenikus, Wien.

   

Credo sia importante dare spazio al lavoro, permettergli di essere autosufficiente – un commento può escludere la possibilità di una vera scoperta.

 

A sense of displacement, 2012, installazione, ferro, plastica, oggetti trovati, dimensione variabile, veduta della mostra Re-Generation, MACRO Testaccio, Rome (Italy), 2012.

   

Guardare un'opera d'arte è come guardare la natura. Non le importa di te. Devi solo essere lì.

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