Fauna d'arte

Ala d'Amico e l'arte di abitare l'incertezza

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

Nel suo studio, tra serigrafia e pigmenti, l’artista romana costruisce immagini fragili e stratificate, che sfuggono all’immediatezza del presente. Un dialogo sul tempo, la memoria e la vulnerabilità come forma di resistenza

Nome e cognome: Ala d’Amico

Luogo e anno di nascita: Roma, 1985

Gallerie di riferimento e contatti social: galleria Magazzino / @aladamico @orme.rome

  

L'intervista 

 

Com’è organizzata la tua giornata?

Normalmente mi sveglio presto, verso le 6:30, una novità per me, in passato ho sempre preferito lavorare di notte. Alle 7 siamo tutti svegli: colazione, accompagno mia figlia a scuola e per le 9 sono in studio, dove cerco di lavorare senza interruzioni fino alle 17, poi mi dedico a mia figlia. Ci sono giornate molto organizzate, soprattutto quando lavoro a commissioni e collaborazioni per ORME, e altre che rimangono più aperte. Lavorare per altri mi dà la possibilità di mettere in pausa questa irrequietezza, o almeno in parte. Ogni mese però mi ritaglio cinque giorni di lavoro ininterrotto.

Che cos’è per te lo studio d’artista?

È il luogo dove riesco a proteggere il tempo e la concentrazione, un posto che tiene insieme la disciplina quotidiana e l’apertura all’imprevisto. Lo studio è in costante cambiamento, quando lavoro per altri artisti divento estremamente ordinata, quando invece mi chiudo nei miei processi lascio che il caos si depositi. Questo spazio in particolare, nato come magazzino, per un periodo è stato anche casa quando tornavo a Roma. Mi piace pensare che, come me, sia un luogo che cambia, una tana che abito da almeno vent’anni.

In un mondo dominato dal digitale e dalla tecnologia, che significato assume per te l’uso di un metodo artigianale come la serigrafia?

In un mondo in cui il digitale tende a smaterializzare l’esperienza, la serigrafia per me è un gesto di resistenza. Non tanto contro la tecnologia in sé, ma contro l’idea di immediatezza, perfezione e riproducibilità infinita che spesso le viene associata. La serigrafia è lenta, fisica, spesso imprecisa. Contiene tempo, errori, ripetizioni. È un metodo che accetta il fallimento e l’incompiutezza, e in questo somiglia molto alla memoria, al lutto, alla perdita.

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Non c’è stato un inizio preciso, piuttosto una serie di deviazioni e ritorni. A un certo punto ho capito che non riuscivo a stare in nessun altro linguaggio se non in quello visivo, e che certe domande trovavano spazio solo lì.

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Per molti è un esercizio di consapevolezza, per raccontare storie, per ricordare, non credo abbia una funzione univoca. Personalmente mi aiuta a convivere con certe mie malinconie.

Visto l’uso compulsivo che si fa oggi dell’immagine, che valore assume nella tua pratica artistica?

In un tempo in cui le immagini ci attraversano continuamente, consumandosi nell’istante in cui appaiono, per me ha senso occuparmi di quelle che rimangono, che non si lasciano leggere subito. Quelle che, pur nella loro apparente semplicità, contengono una frattura, qualcosa di irrisolto. Questo mi ha portato a lavorare sulla vita dell’immagine piuttosto che crearne nuove.

Come ti rapporti al concetto di riproducibilità con i tuoi lavori?

La serigrafia nasce come medium riproducibile ma nel mio caso diventano opere uniche. Non uso la serigrafia per riprodurre, ma per ricostruire immagini che si depositano. Ogni lavoro è unico, non perché lo decida a tavolino, ma perché anche i materiali che uso reagiscono in modo imprevedibile. Non sono pensati per la serigrafia, sono materiali da scrittura, da traccia intima. E questo scarto mi interessa.
A volte dipingo direttamente sulle tavole di compensato, altre volte lascio che siano le stratificazioni a costruire l’immagine, a coprirla, a farla affiorare solo in parte. Quello che sembra un procedimento tecnico è in realtà un modo per rallentare l’apparizione dell’immagine, per renderla vulnerabile. Ogni passaggio lascia qualcosa e allo stesso tempo cancella. È un modo di lavorare che si oppone all’idea di immagine come superficie visibile e disponibile.

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Sono cresciuta a Roma e questo ha formato uno sguardo abituato a convivere con le rovine, l’incompiuto, con le stratificazioni temporali. Mi vengono in mente le rovine di Hubert Robert, che non appartengono solo al passato ma sembrano contenere una temporalità futura, in attesa. Il cinema sperimentale americano ha avuto un ruolo fondamentale nella mia formazione, Bruce Conner e Stan Brakhage mi hanno mostrato come l’immagine possa essere frammentaria e instabile, ma carica di significato.
Il lavoro di artisti come Robert Ryman, Trisha Donnelly e Felix Gonzalez-Torres, per il loro lavoro sull’assenza, la fragilità e la tensione tra intimità e politica.
Tornano spesso nei miei pensieri i testi di Georges Didi-Huberman, in particolare nella sua riflessione sulle immagini-rovina ma sicuramente un riferimento centrale è il concetto di ambiguous loss formulato da Pauline Boss.

 

     

A che cosa stai lavorando?

È un momento particolarmente intenso, sto preparando la mia prima personale a Roma, che si terrà a fine anno, e questo mese collaboro a un progetto di Lorenzo Castore. Mi emoziona moltissimo perché, oltre a essere un amico, è un fotografo che ammiro da sempre.

 

Le opere 

24.02.16 (Sasso)

Grafite, carta di giornale, 134x103cm, 2016

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11.04.16 (Sasso)

Inchiostro calligrafico Pelikan, carta di giornale,

134x103cm, 2016

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03.03.24 (Memoriae)

Pigmento terra d’ombra naturale, carta Kitakata Awagami

46x31cm, 2024

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15.03.24 (Memoriae)

Grafite, carta Kitakata Awagami

94x64cm, 2024

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19.03.24 (Memoriae)

Pigmento terra d’ombra naturale, carta Kitakata Awagami

94x64cm, 2024

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20.09.23 (Iuno)

Grafite, compensato di Betulla

59,5x42cm

2023

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14.09.23 (Erbacce)

Grafite, compensato di Betulla

120x80cm, 2023

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25.09.23 (Erbacce)

Inchiostro calligrafico Pelikan, compensato di Betulla

120x80cm, 2023

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27.09.23 (Erbacce)

Inchiostro calligrafico Pelikan, compensato di Betulla

120x80cm, 2023

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02.04.25 (Petit Débris)

Inchiostro calligrafico Pelikan e grafite, compensato di Betulla

100x70cm, 2025 

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