Ritratto di Eva Frapiccini, fotografia di Amedeo Benestante 

fauna d'arte

Eva Frapiccini: "Il mio studio è il mondo, le idee nascono in movimento"

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"L'arte è nutrimento per lo spirito, ma non salva vite". Dall'archivio dei sogni ai progetti partecipativi, dalla fotografia documentaria alle installazioni immersive. "Ecco perché non mi affido alla routine"

Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte.

   

Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.


 

Nome: Eva Frapiccini

Luogo e data di nascita: Recanati. 30-06-1978

Galleria di riferimento e contatti social: Galleria Simondi

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L'intervista

L'intervista è realizzata in collaborazione con Anna Setola

   

Com’è organizzata la tua giornata?

Non sono portata per la routine, pianifico con largo anticipo mostre o progetti, mantenendo attiva la mente con cose diverse da fare ogni giorno. La regolarità arriva solo nei mesi di docenza all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ho imparato che alcune cose hanno bisogno di tempo per maturare, di costanza, ma vanno viste con prospettiva. In questo mi ritrovo in Robert Cumming che disegnava i lavori prima su un taccuino e li lasciava lì per un mese, passato quel tempo capiva se valesse la pena realizzarli o se fossero più una “trovata”. Ecco, questo metodo mi corrisponde.

  

A che cosa stai lavorando?

A diversi progetti: sto preparando un lavoro per l’archivio Pharaildis Van den Broek a Milano per il 2025, nell’immediato sto lavorando ad un progetto tra Torino e Malaga; un’installazione in tessuto che vedrà il coinvolgimento anche di partecipanti di un workshop serigrafico. L’evento dal titolo Reciprocity si terrà da Toolbox a Torino il 20-21 settembre, sarà una due giorni di incontri e dibattiti per capire il ruolo attivo delle comunità di un territorio per combattere gli effetti della crisi climatica attraverso le pratiche di co-progettazione abitativa, il turismo sostenibile e l’agricoltura rigenerativa. È un progetto nato con Gemma Medina, curatrice di base ad Eindhoven e promotrice di Arte Util, che mi ha parlato de La Casa Invisible di Malaga, un centro culturale che resiste alla turistificazione della città da sedici anni, promosso dal Museo Prado, dal Van Abbemuseum. Gemma stava lavorando con gli artisti Libia Castro e Ólafur Elíasson e io ho coinvolto l’organizzazione di PrintClub e Graphic Days, con cui abbiamo creato una rete di enti tra Italia e Spagna (Fundaciòn de los Comunes, Centro di Ricerca FULL del Politecnico di Torino, LabOnt – Laboratorio di Ontologia dell’Università di Torino) e abbiamo partecipato al bando Just Transition dell’European Cultural Foundation. A marzo 2025 l’evento si sposterà a Malaga, presso la sede de La Casa Invisible, per la seconda parte di incontri ed esposizione dell’installazione in tessuto.

 

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Per me lo spazio di lavoro è stato sempre il taccuino che mi accompagna, ne ho decine catalogati per anno, e la condizione ideale è essere in viaggio. Direi che in questi 20 anni, sono nate più idee in treno, bus, aereo che in studio, pur avendo avuto diversi spazi tra Rotterdam, Leeds, Recanati dove ho un deposito, a Torino ho lo studio vicino casa…Lo studio è uno spazio dove puoi lasciare le idee in bozza, e conservare i lavori, ma per la realizzazione la mia pratica continua nei laboratori degli artigiani a cui mi affido: nell’officina del mio fabbro di fiducia, dove ho realizzato diverse cose di grande dimensione; nel laboratorio del corniciaio, dove una volta ho occupato tutti i tavoli con le cornici di un progetto, dallo stampatore che mi segue… alla fine sento l’esigenza di progettare su misura nel luogo di destinazione. È il rapporto fisico con chi attraversa l’opera, il tempo di fruizione, la luce dello spazio…

  

   

Parlaci del progetto Dreams Archive

Dreams Archive è il titolo “umbrella” che raccoglie tre differenti installazioni e una serie fotografica: il progetto itinerante Dreams’ Time Capsule (2011-2022), l’opera multimediale a quattro schermi e performance Dust of Dreams (2022), e l’installazione sonora Dreamscape (2023). Dreams Archive è anche il titolo della pubblicazione edita da bruno, che raccoglie la storia e le mostre realizzate fino al 2023 di questo progetto decennale. Dreams’ Time Capsule è iniziato nel 2011, ed è un evento partecipativo realizzato con una capsula gonfiabile, che viaggiava nella mia valigia, in piazze, musei, spazi non profit di varie città del mondo. All’interno di questa struttura che ho ideato con il designer Michele Tavano e grazie al supporto economico di ArkDes Stoccolma, si sono sedute circa 2380 persone per registrare il racconto di un sogno, lasciando i contatti e-mail per ricevere le registrazioni sonore a distanza di 10 anni. Dreams’ Time Capsule è un progetto che finirà nel 2032, e quindi è in costante rapporto con il tempo e le trasformazioni personali e collettive. Ha attraversato le elezioni post-primavera araba dopo 30 anni di dittatura in Egitto, nel 2012; lo shock della Brexit, due settimane dopo il voto nello Yorkshire; la guerra in Siria nei sogni dei profughi a Dubai nel 2016. La natura relazionale di questo lavoro si è riflettuta anche nel coinvolgimento di curatrici e curatori, psicologhe e psicologi, antropologhe e antropologi, filosofe e filosofi che ho incontrato in Colombia, negli Emirati, Egitto, Svezia, Lettonia, ecc…

Il materiale raccolto, le migliaia di voci conservate nell’archivio sono diventate il cuore di tre produzioni artistiche successive nel 2022 e 2023, grazie alla collaborazione con l’associazione AlbumArte, e al bando ArtWaves di Compagnia Fondazione Sanpaolo. Si tratta di un’installazione multimediale e una performance con la coreografia di Daniele Ninarello, le musiche di Sara Berts (Dust of Dreams), la serie fotografica H.D.M. e l’installazione sonora interattiva Dreamscape. La produzione Dust of Dreams unisce video, musica elettronica e danza contemporanea, un esperimento che è stato ospitato all’interno del programma del Festival Electropark a Genova, presso le Sale del Munizioniere di Palazzo Ducale, al Polo del ‘900 di Torino, all’interno del festival Interplay; nel programma di Torinodanza 2023. L’installazione sonora Dreamscape, con le musiche di Sara Berts e la curatela di Paola Ugolini ha aperto l’archivio audio all’ascolto dei sogni diffusi da sei strutture completamente disegnate per essere itineranti e reagire alla fisicità dello spettatore che le attiva avvicinandosi. Questa installazione è stata ospitata al Madre di Napoli, a Palazzo Ducale a Genova, al Polo del ‘900 e infine invitata alla I edizione della Biennale Son in Svizzera, con il sostegno dell’Italian Council.

 

Come descriveresti l'evoluzione della tua pratica artistica dalla fotografia documentaria ai progetti "lens-based"?

Sono andata oltre i progetti lens-based. L’audio e la performance sono dei linguaggi che sviluppano altri processi immaginativi. Continuo a lavorare con la fotografia che è uno dei pochi mezzi artistici ad avere una doppia natura di documento ed opera d’arte. Mi interessa anche la sua componente performativa, perché per scattare la foto si è vissuta l’azione. Ma questo rapporto si è incrinato quando mi sono accorta che il documento non emozionava più, che il continuo flusso di immagini a cui siamo sottoposti ci lascia indifferenti. Quindi il mio passaggio è stato da progetti che si formalizzavano in strutture bidimensionali ad opere, azioni, o installazioni che richiedono l’attraversamento, la partecipazione, l’appropriazione della spettatrice o dello spettatore. Ho sempre bisogno di superare delle distanze tra i mezzi, tra le persone, e questo ha richiesto di espandere il mio lavoro in produzioni più grandi. Di recente ho ripreso a fotografare con il lavoro Forget/Fullness.

   

Qual è la funzione dell’arte oggi e qual è il rapporto tra la tua pratica artistica e l’insegnamento?

Non c’è una funzione unica dell’arte, è principalmente nutrimento per lo spirito, che ha bisogno di tante cose: esprimere un sentimento indescrivibile a parole, sintetizzare un pensiero indefinito… Per me è interessante superare i limiti tra persone, tra storie, ma non per questo l’arte deve essere per tutti o salva automaticamente la vita delle persone. La migliora, ma quando mancano i diritti, la libertà, non è certo l’arte a risolvere la questione.

La ricerca artistica è un processo continuo, per me è un privilegio osservare come cambiano i percorsi ideativi, i linguaggi delle nuove generazioni, e credo che in qualche modo entrino nei miei lavori. Come docente, non mostro mai il mio lavoro, ma entro nelle intenzioni degli studenti per aiutarli verso la formalizzazione. Non si può insegnare la necessità di esprimersi, ma si può dare un metodo per governare l’ideazione artistica verso una sintesi, a partire dai tanti esempi della storia dell’arte, dallo studio dei materiali e dalle caratteristiche di ogni linguaggio artistico.

  

Come influisce il tuo metodo di giustapporre immagini contemporanee con testi storici sulla comprensione e interpretazione della memoria collettiva degli "anni di piombo"?

Ti riferisci a Muri di piombo. Il lavoro è partito dal libro Il Partito Armato dello storico Giorgio Galli che ripercorreva giorno per giorno gli eventi degli anni di piombo. Un libro geniale nella struttura, perché voleva dare il senso dello stillicidio di violenza quotidiano. Così ho cercato e trovato gli articoli di giornale in base alle date sul libro. In una biblioteca di Torino erano conservati tutti i quotidiani dell’epoca scansionati in microfilm. Mi sono accorta che il linguaggio giornalistico di quegli anni era diverso da quello contemporaneo: era già di suo una sceneggiatura dettagliata di una scena. Nelle varie esposizioni, alcune persone mi hanno confessato che solo leggere gli articoli le proiettava in quel periodo che avevano vissuto, e poi rimosso. Per me è stato importante quel materiale per immergermi nell’istante e nel luogo degli scontri o attentati, girando nelle varie città riuscivo a ricostruire la scena, anche chiedendo agli abitanti, o negozianti del quartiere. Poi formalizzando ho rielaborato quei testi in altri modi, per esempio ho tentato con le registrazioni audio in studio con la lettura di due attori, e poi sono arrivata lì a stamparli e impaginarli proprio sotto alle foto, segno di un ritorno alla stessa ora, nello stesso mese, a volte lo stesso giorno…Chiudeva bene il tutto.

  

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Sin da piccola mi trovavo a disegnare su ogni superficie, persino il retro di un divano in pelle: reclinavo all’indietro i sedili e mi nascondevo in quel tunnel a disegnare. La mia pratica è iniziata a Bologna, dove ero iscritta al Dams Arte, e frequentando l’Accademia attraverso il corso della Scuola Libera di Nudo. Ho iniziato a usare la fotografia da autodidatta. Passavo le ore a stampare in bianco e nero, ho mandato alcune delle foto alla selezione per l’unica borsa di studio al 100% allo IED di Torino e mi selezionarono. Nei tre anni di corso a Torino ho iniziato a partecipare a concorsi, girare per riviste, e avevo fame di capire come continuare, con le mie forze. Con il primo concorso, il Premio Canon, esposi all’Agenzia Grazia Neri, conobbi diversi curatori, comprai un computer portatile. Paolo (Verzone) mi consigliò di iniziare ad usare il formato medio e grazie a lui acquistai a poco una Hasselblad, e così avevo trovato il mezzo adatto per Muri di Piombo che mi portò a ritrarre i luoghi del terrorismo di sinistra, all’inizio per scoprire Torino, poi mi ritrovai a viaggiare per tre anni tra Roma, Genova, Milano pianificando i mesi di viaggi in relazione ai mesi degli attentati. Al primo concorso a cui lo mandai vinsi un premio di produzione per continuare e lì conobbi il grande Nino Migliori (che aveva scelto e combattuto in giuria per il mio lavoro). Arrivarono poi la mostra Da Guarene all’Etna a Palazzo Sandretto a Guarene, dove ricordo ancora che Lucio Dalla mi fece i complimenti, l’acquisizione di tutte e 50 le fotografie del lavoro dall’UniCredit & Art, le mostre al Festival di Fotografia di Roma a cura di Marco Delogu, il Month of Photography con le mostre alla Maison de la Photographie, al Gropius Bau, la selezione a Descubrimientos di Photo Espana, il Premio Miglior Portfolio al Festival di Arles, l’acquisizione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Il tutto in una manciata di mesi. Nel 2008, venni nominata per il Paul Huf Award dalla rivista olandese Foam tra i/le 100 artiste/i fotografe/i più interessanti under 35 (per quanto queste classifiche sembrano più gare di cavalli). Ci avevo messo circa 5 anni in questo tour di mostre a capire che non volevo continuare ad essere classificata né come fotografa, né come l’artista degli anni di piombo. E così iniziai a sperimentare nuovi linguaggi. Ecco andò più o meno così all’inizio, con un mix di fortuna e caparbietà.

  

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Durante gli anni dell’Università a Bologna ho avuto l’opportunità di lavorare come nella biblioteca della facoltà di Arti Visive, questo mi permetteva di passare del tempo nelle aree non accessibili agli altri studenti, e scovare i vecchi testi, alcune edizioni rare, gli scritti di Longhi, e col tempo mi sono appassionata agli autori legati al movimento Annales come Marc Bloch, Levi-Strauss, Jacques Le Goff. Di quest’ultimo ricordo un bellissimo testo che spiegava il valore del campanile nei paesi medievali, come scansione del tempo quotidiano, e l’impatto visivo che doveva avere la cupola del Brunelleschi tra le case tardo-medievali della Firenze del Quattrocento. Mi sembrava che la cultura agricola dei miei nonni e il mio percorso universitario trovassero un’armonia in questa visione antropologica dell’arte. Prima di andare a Bologna ero andata a sentire le lezioni di Asor Rosa alla Sapienza, ma scelsi di andare a Bologna. Mi hanno influenzato le lezioni di Estetica del prof. Nanni (con cui ho fatto la tesi), le lezioni di Storia dell’Arte Medievale del prof. Ferretti, il primo ad usare il metodo di riconoscibilità dello stile da un frammento di un’opera, è poi andato alla Normale di Pisa; lo spirito della prof.ssa Vera Fortunati, e il corso di Storia della Fotografia del prof. Marra. Allo IED ho trovato dei bravissimi artisti docenti, che mi hanno spronato: Paolo Verzone, Enzo Obiso, Filippo Maggia. Più di recente, durante il mio dottorato practice-led in Inghilterra ho seguito le lezioni di Griselda Pollock, ho incontrato Sarah Ahmed, ho conosciuto il metodo anglosassone di scrittura e ricerca artistica, dove viene meno la distinzione tra teoria e pratica che è molto forte nella cultura di matrice classica, come anche Croce sottolineava, per questo trovo unici i testi in cui gli artisti scrivono della pratica come Arte torna arte di Luciano Fabro e Lezioni di Fotografia di Luigi Ghirri. Sono testi che offrono moltissimi spunti anche oggi. Insomma, la formazione non finisce mai…

Ci sono molti artisti che ammiro soprattutto perché ho visto le loro opere dal vivo e li ho incontrati: Susan Hiller, Christian Boltanski, Chris Marclay, Daniel Buren, Lubaina Himid, Yona Friedman, Susan Phillips, Martin Parr e molti altri. Altri che avrei voluto incontrare come Felix Gonzalez-Torres, difficile nominarli tutti. Il mio è un approccio prima concettuale che visivo, per questo non credo che abbia senso affidarsi alla distinzione delle pratiche in base ai mezzi artistici (pittura, scultura, video, sound art…), ma bisogna entrarci e scoprire la poetica di ciascun/a artista.

  

Le opere

   

 

Dreamscape, 2023

140 x 40 x 30 cm / Serie di 3 + AP

Installazione sonora, 6 speakers con sensori di movimento

Installation view Biennale Son, Musée d’Art du Valais, Sion, Svizzera, 2023

Ph. Olivier Lovey; produzione AlbumArte Roma

Courtesy l’artista

 

Riferimenti: Il cielo sopra Berlino, regista Wim Wenders, 1987

   

   

Dust of Dreams, 2022

4 video Hd Cam 30’

Installazione multimediale a 4 canali, video in sincro, performance con 3 performer

Installation view Festival Torinodanza, Fonderie Limone, Torino, 2023

Ph. Andrea Macchia; produzione AlbumArte Roma AlbumArte Roma

Courtesy l’artista

 

Riferimenti: La donna che visse due volte, regista Alfred Hitchcock, 1958

  

   

Forget/Fullness, 2023

Dimensioni varie / edizioni di 3

Stampa ai pigmenti su carta baritata

Installation view Galleria Peola Simondi, 2023

Ph. Beppe Giardino; Courtesy l’Artista e Galleria Simondi

 

Riferimento: Italo Calvino, Avventura di un fotografo, Einaudi, 1955

  

  

Dreams’ Time Capsule, 2011-2022

360x400 cm; 2 ventilatori interni 20x20 cm

Progetto partecipativo, registratore audio, installazione gonfiabile in valigia

Installation view Maraya Art Center, Sharjah, 2016

Courtesy l’artista. Produzione Maraya Art Centre / Fare Milano

 

Riferimento: Jacques Kerouac, I vagabondi del dharma, 1961

   

   

Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima (Words without Action poison the Soul), 2018

160 x 60 x 400 cm / serie di 3

Installazione fotografica, 6 strutture in ferro, 48 c-print su carta Hanhemule

Installation view Museo Maxxi, Roma, 2020

Ph. Luis do Rosario; Produzione Connecting Cultures, Associazione Isole Palermo

Courtesy Museo Maxxi

    

Riferimento: Calabrò, Antonio, I mille morti di Palermo, Mondadori, Milano, 2016

   

   

Selecting dalla serie Velluto, 2015

35x50x3.5 cm / Serie di 3 + AP

c-print su carta Hanhemuhle

Installation View Museo Maga, Gallarate, 2017

Collezione privata

 

Riferimento: Israel Rosenfield, The Invention of Memory: a new vision of the brain, Basik Books, 1988

    

   

FORTEPIANO | Soundatrack under Tahrir Square, 2016

Cartoline a fisarmonica, 3 stativi in ferro, c-print su carta baritata

120 x 40 x 50 cm / Serie di 3 + AP

Installation view BOZAR Musée d’Art des Beaux-Arts

Courtesy l’artista

 

Riferimento: Luciano Fabro, Arte torna arte, Einaudi, 1999

 

   

Golden Jail | Discovery Subjection, 2014-16

Stampa ai pigmenti su carta Hanhemuhle

Installation view Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2014

Ph. Giorgio Perottino; Courtesy l’artista e Galleria Simondi

  

Riferimento: Pierre Nora, Les lieux de la mémoire, Gallimard, 1992

 

  

The Spirit of Resistance, 2018

Stampa su PVC traforato, dimensioni variabili. Serie di 3 + AP

Installation view Istituto Italiano di Cultura a Londra, 2017

Ph. Simone Morciano; Courtesy l’artista e Galleria Simondi

 

Riferimento: Murakami, L’uccello che girava le viti del mondo, 1994

   

    

Muri di Piombo, 2004-07

44x44x5 cm; 20x44x5 cm / Serie completa di 3

c-print su carta baritata; articoli di giornale 1975-1982

Installation view Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli, 2015

Courtesy l’artista e Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli

 

Riferimento: Galli, Giorgio; Storia del partito armato, edizione Rizzoli, Milano, 1994

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