il foglio arte

Sentirsi un po' Leopardi. Riaperto l'orto-giardino sul colle dell'Infinito

Il lungo lavoro di restauro curato dall'architetto Paolo Pejrone. Da qui si guardano le Marche nel verso giusto

Manuel Orazi

Diceva Sherlock Holmes che il modo migliore per nascondere qualcosa, è metterla in bella vista. È questo il caso dell’Orto sul Colle dell’Infinito a Recanati: è il primo bene Fai nelle Marche, inaugurato a settembre 2019 per le celebrazioni del Bicentenario de L’infinito alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro Dario Franceschini – è stato anche l’ultimo evento pubblico a cui ha partecipato il conte Vanni Leopardi. Vi si accede attraversando il Centro studi leopardiani, dal giardino che costeggia le vecchie mura e si connette al palazzo di famiglia, ristrutturato alla metà del Settecento nelle forme attuali da uno zio architetto di Giacomo, Orazio.

  

Oggi, dopo un lungo lavoro di restauro curato dall’architetto Paolo Pejrone, l’orto-giardino dell’ex convento di Santo Stefano è stato riaperto al pubblico che può dunque ammirare non solo rose e siepi, ma anche insalata e verdura di stagione. Sulla sommità dell’ermo colle, chiamato anche Monte Tabor, Giacomo Leopardi ambientò L’infinito. Non si tratta dunque di un giardino privato, ma di un luogo ora pubblico, dove Giacomo si recava perché era più vicino alla sua stanza e più panoramico: da qui si guardano le Marche nel verso giusto, cioè con le spalle al mare Adriatico, mare freddo e pericoloso, pieno di pirati uscocchi e saraceni, dove naufragare è dolce solo per assurdo.

 

Oltre il parapetto in mattoni il paesaggio mostra Macerata (capoluogo della Marca anconitana pontificia), i monti Sibillini (che Leopardi chiamava “monti azzurri”), Cingoli, i colli intorno a Jesi e un tramonto memorabile. Monaldo Leopardi, passato alla storia come burbero reazionario, è stato al contrario un bibliofilo tale da vendersi interi terreni agricoli pur di comprare i preziosi volumi della biblioteca, che in quanto governatore della città rese disponibile alla consultazione di ogni cittadino, rifondando peraltro l’Accademia poetica dei Disuguali.

  

Insomma, senza Monaldo non sarebbe potuto esistere Giacomo autore de La sera del dì di festa, Alla Luna, Il sabato del villaggio e del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia da rileggere soli qui nell’orto: “Che fa l’aria infinita, e quel profondo / Infinito Seren? che vuol dir questa / Solitudine immensa? ed io che sono?”.

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