Calendario per un'autobiografia minima. On Kawara, o il tempo che si fa poesia

Luca Lo Pinto

Quasi tremila “date paintings”, disseminati nei musei di tutto il mondo, ma non solo. Un artista sempre in viaggio che ha trasformato la propria vita in istruzioni per l’uso

Ho finito di scrivere questo testo il 13 giugno 2020. 2.165 giorni esatti dalla morte di On Kawara, uno degli artisti più rappresentativi dell’avanguardia del dopoguerra. Giapponese di nascita e americano d’adozione, On Kawara nei suoi 29.771 giorni di vita ha sfruttato il tempo come strumento per produrre un’arte poetica al limite del catartico per molti, un algido esperimento concettuale per altri (una minoranza). A dispetto di ogni opinione, la parabola artistica ed esistenziale di On Kawara risulta premonitrice e illuminante rispetto alle condizioni della società attuale.

 

In un presente dominato dall’ipervisibilità e dalla sovraesposizione, dove ogni artista vanta una presenza attiva sui media – più o meno social – e le opere sono costantemente tradotte in jpeg da zoomare o testi da scrollare, l’elogio della lentezza e del ritrarsi in una forma quasi ascetica da parte di Kawara offre un modo alternativo e raro di stare al mondo.

 

Celebre per la sua riservatezza, On si mise in quarantena fin dagli esordi non rilasciando interviste e non consentendo di essere fotografato, affinché fosse solo la sua arte a parlare. Non sorprende quindi che i dettagli biografici siano lacunosi. Cresciuto a ridosso dei bombardamenti atomici, il trauma della guerra influenza il giovane On che, poco più che ventenne, realizza i suoi primi esperimenti artistici: una serie di quadri che hanno come soggetto corpi malati e feriti. Dopo essersi iscritto a una scuola d’arte a Città del Messico dove aveva seguito il padre ingegnere, nel 1964 sceglie di trasferirsi in pianta stabile a New York in compagnia della moglie Hiroko Hiraoka (artista anche lei). In pochi anni si fa conoscere nel contesto dell’arte concettuale introducendo una dimensione zen, mistica, esistenzialista, culturalmente lontana dalla matrice umanistica che caratterizzava quel movimento. Meticoloso, appassionato di giochi e amante dei libri, Kawara inizia infatti a dipingere una serie di quadri che hanno come soggetto nient’altro che la data in cui sono creati. Imbriglia il tempo in una tela dandosi delle regole precise: data bianca su sfondo monocromo (solitamente nero con rosso, blu e grigio come eccezioni) / dimensioni che oscillano da un formato 20x25 cm a un massimo di 155x226 cm / la data è dipinta in forma abbreviata seguendo la lingua del luogo dove si produce / in paesi con alfabeto non-latino, si usa l’esperanto / ogni tela deve essere accompagnata da un articolo di giornale locale / se un quadro non è finito entro la giornata, si distrugge / non vi è l’obbligo di dipingere ogni giorno.

 

Nel corso della sua vita l’artista ha prodotto quasi tremila “date paintings”. Oggi sono disseminati nei musei di tutto il mondo e nelle case di centinaia di collezionisti e, a dimostrazione di quanto il tempo sia prezioso, arrivano a costare milioni di dollari. I più fortunati (se) li regalano per il compleanno o per gli anniversari di nozze. Nella stanza a lui dedicata a Dia Beacon, mecca dell’arte americana, sono esposte permanentemente 36 quadri ognuno di un anno diverso: dal 1966 al 2000. Per volere dell’artista, sotto il pavimento è stato installato del carbone bianco vegetale al fine di purificare l’aria.

 

On Kawara appartiene a una generazione di artisti (come Roman Opalka, Hanne Darboven, Peter Dreher) ossessionati dalla “ripetizione e differenza” di deleuziana&derridiana memoria, sostenitori di un’arte lontana dal modello del genio-creatore, prodotta in una dimensione di alienazione indotta da quella società dei consumi che osteggiavano. E’ un’artista seriale che non ha mai sofferto la pressione di dover aggiornare il proprio software secondo i dettami delle mode.

 

Tutto il suo lavoro si articola in cicli di lavori ongoing ideati da un artista eternamente in viaggio che ha trasformato la propria vita in istruzioni per l’uso. Registra i nomi di tutte le persone incontrate durante il giorno (I MET); traccia i movimenti nel corso di ogni giornata e li ricopia con una penna rossa su una fotocopia della mappa della città in cui si trova (I WENT); raccoglie gli articoli di giornale in corrispondenza alla data nel quale realizza uno dei suoi quadri temporali (I READ); invia telegrammi agli amici per avvisare di essere vivo (I AM STILL ALIVE); spedisce cartoline dai luoghi dove si trova indicando l’ora in cui si è svegliato (I GOT UP AT).

 

Come un abile funambolo, On Kawara è riuscito a camminare su un filo dove l’oggettività e la soggettività si incrociano, muovendosi tra la relatività del tempo e l’assolutezza dell’esistenza individuale senza cadere mai in un vuoto retorico. Ha avuto la capacità di tradurre la sua pratica artistica in una forma di contemplazione tanto personale quanto universale. Ci ha insegnato che si può fare arte con poco (bastano una tela, un telegramma, una cartolina o un libro) ma pochi possiedono il tocco demiurgico di convertire il tempo in poesia e dar vita a un corpus di opere che nell’insieme somigliano a un calendario pantagruelico dove il tempo è messo a tempo.

 

Ogni data dei suoi dipinti corrisponde alla memoria di episodi di vita diversi a seconda degli occhi di chi la guarda, provocando di volta in volta gioia, dolore, divertimento, malinconia in un tourbillon di emozioni. Kawara fa sì che la propria autobiografia assuma le sembianze di una storia collettiva dove ciascuno si può ritrovare. “Se nessuno me lo chiede, lo so; se cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so” scriveva sant’Agostino per ammettere poi che il tempo non può che misurarsi nello spirito umano: “In te, anime meus, tempora metior.”

 

In un ennesimo tentativo di addomesticarlo, nel 1969 On Kawara concepisce One Million Years che tuttavia realizza solo nel 1999. L’opera è composta da due libri: One Million Years: Past (For All Those Who Have Lived and Died) and One Million Years: Future (For The Last One). Il primo è l’elenco del milione di anni che precedono la sua ideazione, il secondo il milione di anni a venire. Ogni pagina raccoglie mezzo secolo e la vita media di un essere umano è racchiusa in poche righe. One Million Years, oltre che come oggetto-libro, si manifesta spesso in una performance corale dove i numeri sono letti ad alta voce da una coppia di persone. E’ stato calcolato che per una lettura continua ci vorrebbero cento anni. Come spesso accade con l’arte concettuale, a descriverla appare un semplice gioco tautologico, ma dal vivo assume una funzione quasi catartica, religiosa (non a caso, pochi anni fa, fu presentata in una chiesa a Venezia con il coinvolgimento di volontari per una lettura-maratona lunga due mesi).

 

Testamento ideale del lavoro di Kawara è il progetto Pure Consciousness realizzato nel 1998 a vita inoltrata. Invitato alla Biennale di Sydney, l’artista giapponese evade dal museo ed espone in un asilo sette quadri realizzati consecutivamente dal 1° al 7 gennaio del 1997. E’ la prima tappa di una mostra itinerante proseguita poi in ventuno asili in giro per il mondo (da Reykjavik a Betlemme, da Goa a Shanghai, da Ostenda a Leticia) che l’artista ha dedicato ai bambini fra i quattro e i sei anni e alla loro “coscienza pura”. Oggi possono vantarsi di aver avuto la fortuna di imparare a contare con il maestro del tempo.

 

Luca Lo Pinto

Direttore MACRO, Roma

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