The Shed, New York. Progetto di Diller Scofidio + Renfro (Wikimedia)

Una High Line tra musei aperti e teatri porosi

Lisa Corva

Elizabeth Diller ha perso un impermeabile ma ha disegnato il più grande screensaver del mondo

Questo articolo è stato pubblicato nel primo numero del Foglio Arte, il mensile del Foglio dedicato all'arte, in edicola ogni ultimo venerdì del mese. Il prossimo numero sarà pubblicato venerdì 28 febbraio 2020.


 

Segni particolari: saper progettare una nuvola. O una passeggiata sopraelevata. O ancora un teatro “poroso”. Lei lo sa fare: lei, Elizabeth Diller. La donna visionaria che, secondo il Time, “sa trasformare una metafora in malta e mattoni”. Lei, anzi il suo studio: Diller Scofidio + Renfro, fondato a New York insieme al marito, Ricardo Scofidio (il terzo partner, Charles Renfro, è stato aggiunto nel 2004; ora c’è anche Benjamin Gilmartin). Se il nome non vi dice nulla, conoscete però di sicuro il loro progetto più famoso: la High Line a Manhattan. Ovvero l’ex ferrovia industriale degli anni Trenta, a 10 metri da terra, che ora si infila tra vecchi e nuovi grattacieli per 2,3 chilometri. Una passeggiata con un programma di arte pubblica (la curatrice è Cecilia Alemani, prossima direttrice della Biennale Arte).

  

Eppure Elizabeth tra i grattacieli ci è arrivata per caso. Piccola migrante del Novecento, è nata in Polonia, a Lodz, nel 1954; di famiglia ebrea, è sbarcata in America con i genitori ancora piccola (non aveva neppure sei anni) e senza sapere una parola d’inglese. Quasi sottovoce, senza clamori da archistar, è diventata una delle poche grandi donne architetto al mondo. “Ero una ribelle, costruire non mi interessava. Sono sempre stata interessata ad altre forme di discorso”.

  

Eppure i progetti sono arrivati. Solo l’anno scorso, ben tre nuove aperture a Manhattan. Due accanto alla High Line: 15 Hudson Yards, grattacielo lussuoso e residenziale sull’Hudson (con il design d’interni di Rockwell Group); e il molto atteso e discusso Shed, centro per le arti performative che si apre e chiude con un inedito rivestimento gonfiabile e scorrevole, quasi un guscio da carapace. Sì, tutto qui, nella nuova zona pulsante della città; che forse, certo, è solo la nuova zona bilionaria. Eppure piace. Ci si aspettava molto, da questo giocattolo architettonico. L’obiettivo era costruire un teatro aperto ed elastico; un nuovo spazio urbano, fruibile anche di giorno, e anche da chi non ha comprato il biglietto per lo spettacolo. Esperimento non completamente riuscito, ma forse succederà con il nuovo progetto dello studio, il Centre for Music di Londra, sempre pensato in modo poroso. Concorso vinto, ma il cantiere non è ancora iniziato: si stanno cercando i fondi.

 

Il terzo progetto appena inaugurato a Manhattan è un museo, anzi il museo. L’ampliamento del MoMa, o meglio la sua ultima metamorfosi: al primo edificio modernista del 1939 si sono aggiunti negli anni gli interventi di Philip Johnson, Pelli e Taniguchi, cannibalizzando man mano il quartiere. L’ampliamento firmato da Diller Scofidio + Renfro ha aggiunto spazi espositivi ma anche caffè, bookstore e un’ampia entrata sulla 53esima strada, tutto con un segno più aereo. Pensiamo agli oggetti sospesi del Marie-Josée e Henry Kravis Studio, nuovo spazio per eventi dal vivo dedicato all’immagine in movimento.

 

E quindi ripensare i musei, oggi, è possibile? Per Elizabeth Diller la prossima scommessa è il V&A Collection and Research Centre, che inaugurerà nel 2023 a Londra, aprendo al pubblico i tesori finora in deposito e gli archivi del Victoria & Albert Museum: 250 mila oggetti, 350 mila libri, 1.000 archivi, tra tessili, mobili, ceramiche, sculture, abiti. “V&A East sarà un nuovo modello, sia per la conservazione delle collezioni che per il display pubblico. Vi faremo entrare in un immenso cabinet des curiosités, una campionatura tridimensionale delle collezioni eclettiche di oggetti, con però anche spazi per la ricerca, per i laboratori e per tutte le funzioni di solito non visibili di un museo”.

 

Mostrare quello che di solito è nascosto. Il primo ad averci pensato è il museo Boijmans a Rotterdam: il progetto del Depot è dei pirotecnici MVRDV, l’opening ancora più vicino, nell’autunno del 2021. E noi in Italia possiamo solo sospirare e pensare quanto ci piacerebbe, aprire gli archivi, i depositi, le cantine dei nostri musei.

 

E dunque, musei aperti, teatri porosi. Ma qual è davvero la cifra di Elizabeth Diller, nell’architettura? “Ci piace flirtare con quello che ci circonda”, e dice proprio così, “flirting”, una vecchia parola quasi romantica, che sa di corteggiamento, sguardi, ammirazione. Niente contrasti. Ma apertura. Anche a Boston, all’Ica, Institute of Contemporary Art: un progetto del 2006, di fronte all’oceano. “Lì abbiamo sfruttato il contesto, il waterfront: penso soprattutto alla sala della mediateca, una gradinata con un’enorme vetrata sul mare; l’hanno definito il più grande ‘screensaver’ del mondo”.

 

Interagire con quello che circonda l’edificio vuol dire magari anche solo giocare con la luce, abbagliante se è quella della California, come in un altro dei loro capolavori, il Broad Art Museum (2015, Los Angeles) simile alla struttura di un alveare, di cemento e fibra di vetro rinforzata, pensata apposta per far entrare i raggi del sole. Flirtare con lo spazio anche a Rio de Janeiro, nel Museum of Image and Sound, che dovrebbe essere completato quest’anno, ritardi permettendo, sulla spiaggia di Copacabana.

 

E in questo giro del mondo, non ci siamo persi la nuvola? La nuvola è apparsa nel 2002 in Svizzera, sul lago di Neuchâtel, ci sono entrata. Il trucco di Nuage, ovvero Blur Building, erano più di 30 mila augelli che vaporizzavano l’acqua lacustre, creando un effetto nebbia, un po’ bagnato: e infatti prima di salire sulla passerella sospesa, venivano distribuiti impermeabili usa e getta. Quando glielo ricordo, ride e dice che il suo oggetto del cuore è un impermeabile. Perduto per sempre. “Stavo andando di corsa all’aeroporto, più di vent’anni fa, e l’ho dimenticato in taxi. Era di plastica, con una stampa leopardata, ma in bianco e nero. Meravigliosamente falso e kitsch”.

 

Infine, la signora che ama gli impermeabili animalier racconta il suo ultimo progetto. Non un grattacielo, ma una performance studiata per un’icona, il coreografo e ballerino Bill T. Jones: “Deep Blue Sea”, dal 14 al 25 aprile all’Armory di New York. Di nuovo un sogno: un’architettura non architettura, effimera come una nuvola.

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