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Nuovo cinema italo-emiratino
Cos'è il primo festival di cinema italiano-emiratino che nasce per avvicinare studenti e professionisti, creare competenze e impostare un dialogo culturale stabile tra Italia ed Emirati, senza fronzoli né retorica
A volte i festival nascono per celebrare qualcosa, altre volte per provarci. La Dolce Via Festival appartiene alla seconda categoria: più che lanciare star o tappeti rossi, prova a costruire un ponte, lento e concreto, tra due mondi che fino a ieri si incrociavano solo nei comunicati ufficiali.
L’idea, in fondo, è questa: negli Emirati Arabi Uniti c’è un’enorme curiosità per il cinema, per il racconto, per tutto ciò che somiglia alla creatività organizzata. Mancano però tradizioni consolidate, maestri, scuole che abbiano alle spalle decenni di pratica. E qui entra in gioco l’Italia, che nel cinema ha accumulato un secolo di mestiere. Non si tratta di esportare un modello, ma di mettere a disposizione strumenti, approcci, errori, trucchi del mestiere. È questo, più che il glamour, che porta negli Emirati un regista come Gabriele Mainetti o un attore come Alessandro Preziosi.
La cosa interessante è che il festival non si rivolge al pubblico generico, ma agli studenti. Ragazzi che vogliono capire come si scrive una scena, come si dirige un attore, come funziona un set. E qui la differenza si vede: invece di proiezioni rituali, ci sono masterclass, workshop, dialoghi veri. Le domande non sono astratte: “Come si gestisce la paura del primo ciak?”, “Come si costruisce un personaggio?”, “Da dove si comincia quando non si ha ancora niente?”. È formazione, non intrattenimento.
Poi c’è l’aspetto politico, che però appare quasi di lato. Le istituzioni italiane e emiratine sostengono l’iniziativa perché il cinema è un terreno neutro, dove si può collaborare senza sovrastrutture. E il Memorandum firmato con l’American University in the Emirates indica proprio questo: non un evento isolato, ma l’idea che gli studenti possano venire in Italia, formarsi, tornare negli Emirati e portare avanti il lavoro.
Alla fine, il senso dell’operazione è semplice: costruire familiarità. Far sì che un giovane emiratino scopra che i mestieri del cinema non sono lontani come sembrano. E far capire all’Italia che in quella parte del mondo c’è un desiderio di crescere non solo economicamente, ma anche culturalmente. La Dolce Via è questo: un tentativo, fatto con pazienza, di far dialogare due mondi che hanno molto da dirsi.
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