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Israele, l'Onu e il fantasma del pregiudizio, 50 anni dopo

Dalla risoluzione “Zionism is racism” del 1975 fino a oggi, le Nazioni Unite  continuano a dividere

Conservatore: Cinquant’anni fa, l’Onu decise di suicidarsi moralmente. Approvò la risoluzione 3379, la più infame della sua storia: “Il sionismo è una forma di razzismo e discriminazione razziale”. Era il 10 novembre 1975. Quella frase, votata da 72 paesi e sostenuta dal blocco sovietico e da molti stati del Terzo mondo, distrusse la credibilità di un’istituzione nata per difendere la dignità umana.

Progressista:  E’ vero, fu una macchia indelebile. Ma non dimenticare che fu cancellata nel 1991, per iniziativa americana. Il mondo era cambiato: il Muro di Berlino era crollato, la Guerra fredda finita, e la stessa Onu riconobbe il proprio errore.  

Conservatore: Un gesto formale, non sostanziale. Bolton lo dice bene: l’antisemitismo non è scomparso, si è solo fatto più sofisticato. Oggi si presenta sotto la maschera dell’antisionismo. Il linguaggio è diverso, ma l’obiettivo identico: delegittimare Israele, metterne in discussione l’esistenza come stato del popolo ebraico.

Progressista: Attento a non semplificare. Esiste una differenza tra chi nega il diritto di Israele a esistere e chi critica la sua politica. Molti israeliani, giornalisti, scrittori, rabbini lo fanno ogni giorno senza essere antisemiti. La critica non è odio, e Israele, proprio perché è una democrazia, deve sopportarla.

Conservatore: Democrazia, sì. Ma è anche la più isolata del mondo. Lo dimostra la statistica che Bolton cita: l’Onu approva ogni anno più risoluzioni di condanna contro Israele che contro tutti gli altri paesi messi insieme. Non parliamo di regimi democratici, ma di dittature: Iran, Corea del nord, Sudan, Siria. Eppure il bersaglio preferito resta sempre lo stesso.

Progressista: Forse perché è l’unico stato del medio oriente che ascolta davvero ciò che si dice all’Onu. O perché, essendo dentro le regole internazionali, è più esposto. Ma ammettiamolo: non tutte le condanne sono infondate. Le colonie, gli insediamenti illegali, la gestione di Gaza sono questioni che meritano dibattito.

Conservatore: Dibattito sì, ma non persecuzione. Nel 2001, alla Conferenza mondiale contro il razzismo di Durban, le stesse parole del 1975 – “sionismo uguale razzismo” – tornarono nei documenti ufficiali. Ventisei anni dopo la revoca, lo stesso veleno riemergeva.

Progressista: Durban fu un disastro, ma anche una lezione. Da allora, molte delegazioni hanno capito che la questione israeliana non può essere usata come campo di battaglia simbolico. Eppure, mentre condanni Durban, dimentichi le risoluzioni che l’Onu ha approvato per combattere l’antisemitismo e per preservare la memoria dell’Olocausto.

Conservatore: Belle parole, poca coerenza. Il Consiglio per i diritti umani, nato nel 2006, è diventato un tribunale permanente contro Israele. Ogni anno sforna rapporti, relazioni, accuse. E ora perfino la Corte penale internazionale si arroga il diritto di indagare Israele per genocidio, basandosi sull’ammissione della Palestina come “stato”. E’ un’aberrazione giuridica.

Progressista: O un effetto collaterale del fallimento politico. Se non ci sono negoziati, la diplomazia si sposta nei tribunali. E’ sbagliato, ma non basta gridare all’antisemitismo per risolvere il conflitto.  

Conservatore: E intanto, dietro il linguaggio dei diritti umani, si perpetua un pregiudizio antico. Non contro il governo israeliano, ma contro l’idea stessa di un popolo che si autodetermina. Ogni risoluzione che nega legittimità a Israele è una forma moderna di esclusione.

Progressista: E ogni volta che si equipara la critica al governo Netanyahu con l’odio contro gli ebrei si finisce per banalizzare la parola antisemitismo. Le parole vanno difese dal loro abuso. Israele  non può diventare intoccabile.

Conservatore: “Intoccabile”? No. Ma nemmeno eternamente sotto processo. L’Onu è diventata un’arena dove regimi autoritari si presentano come difensori della giustizia e usano Israele come paravento per i propri crimini.  

Progressista: Forse. Ma se l’Onu non esistesse, gli stessi paesi si farebbero la guerra. Le Nazioni Unite non sono un paradiso morale, sono un compromesso permanente. Dentro quel compromesso, anche Israele ha una voce.  

Conservatore: Il problema è che quella voce non viene più ascoltata. Cinquant’anni di risoluzioni hanno creato un riflesso condizionato: Israele parla, il mondo sospira.  

Progressista: Forse perché Israele ha smesso di ascoltare. La sua forza militare è diventata, agli occhi di molti, una barriera morale. Difendersi non è un peccato, ma neanche un lasciapassare per ignorare ogni critica.

Conservatore: Parli come se la vittima dovesse giustificarsi per sopravvivere.

Progressista: E tu come se la memoria della vittima bastasse a rendere innocente ogni gesto del presente.

Conservatore: Forse la verità sta in mezzo: Israele ha diritto a difendersi, ma il mondo ha il dovere di non fingere che l’antisemitismo sia solo un ricordo.

Progressista: E ha il dovere di non usarlo come arma politica. Il passato non assolve nessuno.

Conservatore: Allora, dopo cinquant’anni, siamo ancora lì: a discutere se dire “Zionism is racism” sia odio o libertà.

Progressista: Siamo lì, ma almeno lo facciamo parlando. E’ poco, ma è tutto ciò che resta di umano all’Onu.