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Tomahawk: storia di un missile che può cambiare una guerra. Un'arma che serve a comunicare
La decisione americana di rinviare la consegna a Kyiv apre un nuovo capitolo politico e strategico del conflitto. Dietro la cautela di Washington si gioca l’equilibrio tra deterrenza, alleanze e rischio di escalation
La notizia è semplice, ma densa di implicazioni: Donald Trump ha deciso, per ora, di non approvare la fornitura all’Ucraina dei missili da crociera Tomahawk, capaci di colpire in profondità nel territorio russo. Dietro quella frase apparentemente prudente – “almeno per il momento” – si nasconde una delle decisioni più delicate di questa fase della guerra: concedere o meno a Kyiv un’arma che può davvero cambiare l’equilibrio del conflitto, non solo sul terreno, ma nella percezione globale del potere americano.
Il Tomahawk non è un missile qualunque. E’ un’icona della tecnologia militare occidentale, il frutto di quarant’anni di evoluzione strategica. Nato negli anni Settanta come risposta americana ai sistemi di attacco sovietici a lungo raggio, il BGM-109 Tomahawk venne sviluppato dalla General Dynamics (poi Raytheon) per la US Navy. L’obiettivo era chiaro: creare un’arma capace di volare a bassissima quota, evitando i radar, con una precisione millimetrica e una portata superiore ai 1.500 chilometri. Il suo debutto operativo avvenne nel 1991, durante la prima guerra del Golfo. Il missile divenne il simbolo di una nuova forma di potenza: chirurgica, tecnologica, pulita. Da allora, ogni conflitto americano ha avuto il suo momento Tomahawk.
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Può essere lanciato da cacciatorpediniere, sottomarini o basi terrestri, trasporta una testata convenzionale da 450 chili e vola a circa 880 chilometri orari, mantenendo una quota di appena 30-50 metri sopra il terreno. E’ guidato da un sistema misto di Gps, radar e sensori ottici, che gli consente di seguire il profilo del terreno con una precisione tale da poter entrare letteralmente in una finestra. In alcune versioni, può anche essere riprogrammato in volo. Ma il vero valore del Tomahawk non sta solo nella sua potenza, bensì nel messaggio che porta con sé. Ogni volta che gli Stati Uniti decidono di usarlo, il mondo capisce che si è oltrepassata una soglia. E’ un’arma di deterrenza e di comunicazione. L’America la usa per dire: possiamo colpire ovunque, quando vogliamo, ma scegliamo se farlo. Ecco perché la scelta di Trump pesa tanto. Consegnare all’Ucraina i Tomahawk significherebbe dare a Kyiv la possibilità di colpire non solo le truppe russe sul campo, ma anche infrastrutture militari nel cuore della Russia. Sarebbe una svolta strategica e simbolica. Ma, allo stesso tempo, equivarrebbe ad accettare il rischio di un’escalation diretta tra Washington e Mosca. Ma anche questa prudenza ha un prezzo. Per Kiev, il rinvio della fornitura dei Tomahawk è un segnale di raffreddamento dell’impegno americano. Per Mosca, è la conferma che la minaccia nucleare e la paura dell’escalation continuano a funzionare. E per l’Europa, è un promemoria amaro: dipende ancora dagli Stati Uniti non solo per le armi, ma per il ritmo e la direzione della guerra.