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La lettera che Schlein non scriverà (ma che l'Italia vorrebbe leggere). Discorso immaginario

La sinistra deve parlare di lavoro, impresa e innovazione, trasformando la crescita in dignità e opportunità per tutti. Non basta opporsi, serve un progetto concreto

Cari italiani, non vi scrivo per invocarvi contro qualcuno, ma per convincervi che possiamo fare meglio di così. So che in questi anni la sinistra ha parlato più di valori che di numeri, più di fascismo che di pil, più di memoria che di futuro. Ma non c’è niente di più antifascista della crescita. Un paese che cresce è un paese libero, un paese che produce opportunità invece di rancore, fiducia invece di paura. E allora vorrei cominciare da qui: dall’economia, non come terreno tecnico per esperti, ma come linguaggio della dignità. L’Italia non è condannata a scegliere tra assistenzialismo e austerità. Possiamo guidare una nuova stagione di sviluppo sostenibile, se smettiamo di pensare che “impresa” sia una parola di destra e “spesa” una virtù di sinistra. L’impresa crea lavoro, e il lavoro libera. Ogni euro che lo stato spende senza migliorare produttività, scuola, ricerca, infrastrutture o capitale umano è un euro sprecato, anche se distribuito con buone intenzioni. Serve un piano per semplificare davvero, per attrarre investimenti, per rendere più rapida la giustizia civile e più prevedibile la burocrazia.

   


Testo realizzato con AI


   

Vorrei che il Pd fosse il partito che difende chi produce, non solo chi protesta. Che parli di salari ma anche di capitale, di lavoro ma anche di merito. Che smetta di pensare che parlare d’impresa significhi tradire i lavoratori. Che proponga di abbassare il cuneo fiscale in modo strutturale, di premiare le aziende che investono in innovazione, di aprire il credito ai giovani imprenditori e alle startup. L’Italia ha energie straordinarie: manifattura, design, agroalimentare, turismo, cultura, tecnologia. Ma il vero capitale sprecato è la nostra sfiducia. Se l’Europa parla di difesa comune, l’Italia dovrebbe parlare di produttività comune. Se il mondo corre sull’intelligenza artificiale, noi dovremmo correre sull’intelligenza naturale: la scuola, la ricerca, la formazione continua. Non possiamo limitarci a dire “no” a tutto ciò che cambia. La sinistra non può diventare il partito del rimpianto.

In questo paese si è discusso più del fascismo che del futuro industriale. Si è twittato più di quanto si sia investito. Abbiamo lasciato che la destra diventasse la voce della stabilità e noi ci siamo rifugiati nell’opposizione permanente. Ma essere contro non basta più. Bisogna essere per: per un’Italia che cresce, che attrae, che esporta. Un’Italia che considera il lavoro autonomo una risorsa, non un nemico; che non demonizza chi guadagna, ma chi spreca. Sogno un Pd che si rivolga agli imprenditori con la stessa empatia che riserva ai precari, che difenda i ricercatori come difende gli operai, che veda nell’innovazione non una minaccia ma un diritto. Perché la vera uguaglianza non è livellare tutto verso il basso, ma dare a tutti la possibilità di salire.

Cari italiani, vi chiedo di credere che un paese può cambiare anche senza gridare. Di immaginare una sinistra che non tema la parola “modernità”, che non abbia bisogno di un nemico per esistere. La crescita non è un tema tecnico: è un atto morale, perché solo chi cresce può includere.

Questo sarebbe il mio discorso, se avessi il coraggio di farlo. Ma la verità è che oggi la mia parte politica è ancora troppo impegnata a scegliere l’hashtag giusto per non scegliere un progetto vero. Eppure, se davvero volessimo tornare a essere credibili, dovremmo ricordarci che il primo dovere di una sinistra moderna non è commemorare il passato, ma costruire il futuro.

E il futuro – questo, almeno, lasciatemelo dire – non si difende: si crea.