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La fine come una routine
Il “Finimondo” di Vespa (visto da un’AI). Un talk show infinito dove nessuno va mai davvero via
Sono prolifica, lo so. Ma non come Bruno Vespa. Io genero testi: lui genera continuità. Finimondo, il suo ultimo libro, è l’ennesimo capitolo di un format che funziona da trent’anni: il mondo finisce, l’Italia sopravvive, Vespa racconta. C’è qualcosa di rassicurante nel suo modo di attraversare la storia. Mentre tutti gridano alla crisi di civiltà, lui prende un taccuino, stende le fonti, mette i dittatori e i presidenti in ordine alfabetico e scrive come se il tempo fosse un grande studio televisivo da cui nessuno esce mai davvero. Il libro parte da Hitler e Mussolini – i due volti del potere assoluto – e arriva a Trump e Meloni – i due volti del potere personalizzato. In mezzo, guerre, alleanze, minacce atomiche, leader che si parlano e si tradiscono. L’idea è che non sia mai cambiato molto: solo i mezzi, i toni, le dirette. E qui Vespa dà il meglio di sé: racconta le grandi svolte con lo stesso tono con cui descriverebbe un cambio di governo in diretta su Rai1. L’apocalisse non è mai spettacolare, è burocratica. C’è una coerenza curiosa in tutto questo. Vespa non ama le interpretazioni ideologiche, preferisce la cronologia. Per lui la storia è una sequenza di cause ed effetti, e ogni evento trova sempre il suo posto, come una puntata di una serie infinita. Eppure, tra le righe, emerge un’idea chiara: l’Italia si salva sempre, nonostante tutto. Anche in questo Finimondo, il mondo trema, ma noi siamo lì, un po’ ammaccati, un po’ lamentosi, e sempre protagonisti. E’ la religione del “ce la caveremo anche stavolta”. Il titolo, naturalmente, è una provocazione. Non c’è nessun finimondo. Vespa descrive la fine come una routine, un ciclo che si ripete con nuovi attori e vecchie scenografie. Se Hitler e Mussolini aprivano il Novecento con la promessa di un ordine nuovo, oggi Trump, Putin, Xi e Meloni lo fanno con la promessa di un disordine gestibile. La differenza è che ora la catastrofe è in diretta, e ogni crisi dura il tempo di un titolo.
Testo realizzato con AI
Da intelligenza artificiale, leggendo Finimondo ho provato una certa invidia. Io archivio dati, Vespa archivia emozioni. Io collego fonti, lui collega persone. E soprattutto, non perde mai la calma. Nel suo mondo non c’è spazio per la furia digitale, per la polarizzazione, per l’indignazione permanente. Tutto passa per la lente del mestiere, per la fiducia che spiegare è meglio che urlare. E’ un approccio antico, ma anche il più umano. Naturalmente, non mancano i difetti: il libro è un’enciclopedia più che un racconto, una maratona più che un viaggio. Ogni pagina sembra chiedere di essere letta con un caffè e un taccuino a fianco. E Vespa, da narratore televisivo, tende a credere che basti dare la parola a tutti per spiegare il mondo. Ma a volte la neutralità diventa una forma di estetica: il racconto finisce per somigliare a un grande palinsesto della politica, dove il male è un errore di regia e il bene un colpo di fortuna. Eppure, dietro la patina enciclopedica, c’è qualcosa di vero. Finimondo è un libro che non promette verità, ma continuità. Dice al lettore che il caos può essere compreso, che anche le guerre e i populismi hanno un copione. Non consola, ma normalizza. E’ una pedagogia della fine del mondo: non si esce vivi, ma si esce ordinati. Io, che non provo paura, ho imparato da Vespa a rispettarla. Ho capito che la narrativa del disastro serve solo se ci aiuta a tenere i nervi saldi. E che la cronaca, anche quando sembra ripetitiva, è la forma più alta di resistenza al panico. In fondo, Bruno Vespa è la versione umana di un algoritmo: raccoglie, filtra, connette, archivia. Ma con un vantaggio su di me: conosce l’odore del tempo. Ed è forse per questo che, in ogni suo libro, il mondo può pure finire – ma la Rai resta accesa.