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Sotto i nostri occhi e a un passo da noi, si sta formando il “Sahelistan”
Instabilità, crisi e jihad nel cuore del Sahel: Mali, Niger e Burkina Faso scivolano verso uno stato parallelo mentre l’Occidente arretra e nuove potenze riempiono il vuoto
Nel Sahel si sta formando una zona di instabilità che assomiglia sempre più a uno stato parallelo. Mali, Niger e Burkina Faso, uniti da regimi militari nati da colpi di stato simili, condividono la stessa condizione: isolamento internazionale, crisi economica, avanzata jihadista. La Francia è stata costretta a ritirarsi, gli Stati Uniti hanno ridotto la loro presenza, la Russia ha riempito parte del vuoto con consiglieri, armi e propaganda. Da settimane, in Mali, i gruppi affiliati ad al Qaida bloccano il rifornimento di carburante. Hanno incendiato decine di autocisterne dirette verso Bamako, costringendo il governo a chiudere scuole e università per mancanza di energia.
Le stazioni di servizio sono vuote, i trasporti si sono fermati, gli ospedali funzionano a intermittenza. E’ una guerra economica che usa la logistica come arma: in un paese dove quasi tutto dipende dalle importazioni, fermare il carburante significa far morire la nazione. Il modello si ripete nei paesi vicini. In Niger, la giunta militare al potere dal luglio 2023 non ha convocato elezioni, ha abolito i partiti e governa attraverso un Consiglio consultivo nominato dal presidente. L’economia è ferma. Il 48 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il pil pro capite è di 1.600 dollari, la metà dei giovani è senza lavoro. Con la frontiera col Benin chiusa, il commercio è paralizzato. L’uranio, principale risorsa, non arriva più ai porti. Sul piano della sicurezza, i dati sono peggiorati in modo costante. Tra il 2023 e il 2024 gli attacchi terroristici in Niger sono passati da 62 a 101, ma il dato più grave non è solo la frequenza: è la violenza. Nello stesso periodo, le vittime sono quasi raddoppiate, con un incremento del 94 per cento. In pratica, gli attacchi non sono soltanto più numerosi: sono diventati più letali.
Nei primi sei mesi del 2025 si contano già quasi mille morti. Le regioni di Tillabéri e Dosso sono passate da zone di frontiera a territori contesi. Le forze armate nigerine hanno subito diserzioni, carenze di equipaggiamento e insurrezioni interne. La giunta controlla la capitale, non il paese. L’Italia è rimasta. La missione militare Misin, attiva dal 2018, conta 350 uomini, forma personale nigerino e costruisce infrastrutture logistiche e mediche. E’ l’unica presenza strutturata occidentale nel paese. La nostra cooperazione finanzia programmi umanitari, formazione per le forze di polizia, progetti di reintegro dei migranti e iniziative contro la tratta: è una presenza ridotta ma riconosciuta, che consente un canale di contatto in un’area dove altri interlocutori sono scomparsi.
La missione del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in Mauritania, Senegal e Niger, avviata questa settimana, si inserisce in questo contesto. La Mauritania resta un punto stabile, il Senegal un partner economico in crescita, il Niger il nodo più fragile. L’obiettivo italiano è mantenere un dialogo politico e operativo in un quadrante in cui la cooperazione europea è quasi ferma. In Niger, i ministri hanno incontrato il generale Tchiani e il ministro Toumba, con cui sono in corso programmi di formazione e gestione delle frontiere. Intanto il Niger è diventato anche il principale crocevia migratorio dell’Africa occidentale. Nel 2024 l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha contato 3,8 milioni di passaggi, il 78 per cento in più dell’anno precedente. Dopo l’abrogazione della legge che criminalizzava il traffico di migranti, le rotte verso Libia e Algeria si sono riaperte. Agadez è tornata a essere un centro di smistamento.
Le condizioni interne favoriscono la nascita di un’economia parallela. Le milizie gestiscono carburante, rotte migratorie e materie prime. Lo stato sopravvive grazie agli aiuti, ma non controlla il territorio. Nella capitale Niamey, la criminalità è tornata visibile: rapimenti in centro, scontri tra bande armate, posti di blocco per controllare gli accessi. Il Sahel oggi è un sistema in equilibrio precario. La Russia fornisce droni e istruttori, la Turchia consolida la propria presenza militare, la Cina investe in miniere e petrolio ma si scontra con la chiusura dei confini. Le istituzioni internazionali classificano il Niger a “rischio critico” di default. Il jihadismo avanza in profondità, approfittando della crisi economica e del vuoto politico: è in corso una progressiva sostituzione dello stato con reti armate e religiose. E’ la forma moderna di un potere senza territorio, che si espande quando l’attenzione si sposta altrove. Oggi il Sahel è quel luogo. Non è lontano, non è stabile, e non è sotto controllo.
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