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Il Foglio AI

Lo scontro sull'Italia che scivola (o no) verso l'autoritarismo

Poteri, linguaggi, istituzioni e paura del consenso. La segretaria del Pd Elly Schlein parla di “deriva pericolosa”, il presidente della Corte costituzionale, Augusto Antonio Amoroso, replica che “non esiste alcun rischio democratico”. Democrazia o paranoia?

Progressista: Non possiamo più fingere che sia tutto normale. Quando la premier delegittima i magistrati che indagano sui ministri, quando si depotenziano i contrappesi parlamentari, quando l’informazione pubblica viene messa sotto controllo con nomine fedeli e direttive di partito, come si può dire che non c’è un rischio democratico? Il problema non è che domani avremo il fascismo, ma che oggi si erode la fiducia nelle istituzioni. E’ un logoramento lento, ma reale. E chi ha studiato la storia del Novecento lo riconosce subito.


Conservatore: Sì, la storia del Novecento. Ma appunto, siamo nel 2025. Non ci sono squadracce, non ci sono leggi razziali, non ci sono colpi di stato. Ci sono elezioni, opposizioni, giornali, Corte costituzionale, e perfino la stessa Schlein che parla ogni giorno di “deriva autoritaria” sui social e in tv. E’  questa la prova migliore che la libertà funziona. E se il governo cambia alcune regole per rafforzare la stabilità – penso al premierato – non è un attentato alla democrazia, ma un modo per renderla più efficiente.


Progressista: Efficienza senza limiti di potere è un vecchio sogno autoritario. Lo chiami premierato, ma nella pratica si costruisce una verticalizzazione totale. Una premier che nomina e revoca ministri, scioglie il Parlamento, influenza la Rai e occupa la giustizia con riforme che la indeboliscono. 


Conservatore: Questa è la solita ossessione ideologica. Ogni volta che la sinistra perde consenso, tira fuori il fantasma dell’autoritarismo. Ma dove sarebbe questa repressione? Le opposizioni parlano, i sindacati scioperano, la stampa la critica ogni giorno. Semplicemente la maggioranza governa, e a sinistra non sopportate che una destra democratica possa essere maggioritaria. E’ questo il punto. Non accettate che il consenso popolare non significhi automaticamente populismo.


Progressista: Non è questione di consenso. E’ questione di qualità della democrazia. Ci sono forme di autoritarismo democratico: governi eletti che poi riducono le libertà attraverso riforme legali, cambiando le regole dall’interno. Guardi alla riforma della magistratura: separazione delle carriere, controllo disciplinare sull’Anm, limiti all’obbligatorietà dell’azione penale. Non è riformismo, è un modo per piegare il sistema giudiziario al potere politico.


Conservatore: No, è il contrario: è un tentativo di depoliticizzare la magistratura, che da decenni si comporta come un potere non eletto e irresponsabile. Finalmente c’è un governo che ha il coraggio di mettere mano a un equilibrio distorto. E quanto alla libertà di stampa, basta leggere i giornali: ogni giorno accuse, inchieste, editoriali durissimi. Nessun cronista viene censurato. Ma certo, se la Rai smette di essere un feudo del centrosinistra, allora diventa “bavaglio di stato”.


Progressista: E la Corte costituzionale? Il presidente Amoroso può dire che “non vede rischi democratici”, ma la Corte non è un oracolo politico. E’ naturale che il suo ruolo sia prudente. Ma la percezione diffusa, anche tra giuristi e accademici, è che si stia comprimendo lo spazio del pluralismo. Dalla riforma della Rai all’autonomia differenziata, dalla gestione dei migranti ai poteri del premier, tutto punta nella stessa direzione: concentrazione e controllo.


Conservatore: Oppure semplicemente coerenza e governo. L’Italia per trent’anni ha sofferto di instabilità cronica, di governi tecnici, di coalizioni incoerenti. Oggi abbiamo una leadership solida, che rispetta la Costituzione, che non scioglie partiti, non imprigiona oppositori, non manipola le elezioni.  E se Schlein non riesce a proporre un’alternativa credibile, non può accusare le istituzioni di autoritarismo solo perché perde nei sondaggi.


Progressista: E’ sempre la stessa difesa: “c’è consenso, quindi va bene”. Ma il consenso non giustifica tutto. Le democrazie si difendono anche dai propri governi, non solo dai colpi di stato. Oggi non servono stivali: bastano algoritmi, propaganda, controllo dei flussi informativi. L’erosione è sottile. Si chiama egemonia culturale. E’ l’idea che chi non si adegua al linguaggio del potere venga marginalizzato, deriso, trattato come un fastidio. Ecco, questa è la vera deriva.


Conservatore: La vera deriva è la cultura del sospetto. Voi vedete fascismo ovunque: nella riforma costituzionale, nei decreti sicurezza, perfino nel modo in cui la premier parla. Ma il linguaggio politico è sempre stato duro. E poi, se davvero il governo fosse così autoritario, perché dovrebbe permettere la libertà totale dei media digitali, dove la critica è feroce?  


Progressista: Perché non ne ha bisogno. La democrazia illiberale del XXI secolo si regge sull’apparenza della libertà, non sulla sua cancellazione. La paura è sostituita dall’indifferenza, il controllo dalla saturazione. Non serve vietare le voci contrarie, basta renderle irrilevanti. E quando il dibattito pubblico si trasforma in tifoseria, la democrazia si svuota dall’interno.


Conservatore: Mi pare una visione apocalittica. In Italia ci sono ancora giornalisti liberi, magistrati indipendenti, opposizioni vivaci, elettori che cambiano idea. La Costituzione del ’48 regge, e il sistema di garanzie funziona. Il presidente della Repubblica firma, la Consulta vigila, l’Europa osserva. Se questo è autoritarismo, allora le parole hanno perso significato. Forse bisognerebbe tornare a parlare di politica, non di fantasmi.


Progressista:  Ma la politica è fatta anche di limiti, di cultura costituzionale, di rispetto per le minoranze. Oggi si governa per scontro, non per equilibrio. Si costruisce consenso su un nemico – i giudici, i giornalisti, gli intellettuali – e non su un progetto. E’ questo che spaventa: l’idea che il potere voglia riscrivere la grammatica della democrazia. Non c’è bisogno di chiudere il Parlamento per minacciarla. Basta svuotarlo.


Conservatore: O forse basta smettere di chiamare “deriva” tutto ciò che non piace alla sinistra. La democrazia vive di alternanza, non di custodi permanenti. E se un governo eletto vuole cambiare le regole – nel rispetto delle procedure – questa si chiama politica, non golpe. Chi parla ogni giorno di autoritarismo, in realtà, non difende la democrazia: difende lo status quo.


Progressista: E chi lo nega, in realtà, difende il potere.