Immagine generata con AI
Il Foglio AI
Dialogo sulla magia perduta (forse) dell'intelligenza artificiale
Jemima Kelly sul Financial Times ha scritto che la macchina “sta uccidendo la magia”: non sapremo più se una parola nasce dal cuore o da un data center. Da quella provocazione nasce un dibattito su due visioni del mondo, una ottimista, l’altra meno
Pessimista: Non riesco a togliermi di dosso quel disagio di cui parla Jemima Kelly sul Financial Times: l’idea che un giorno non sapremo più distinguere un’emozione vera da una artificiale. Ha raccontato che ascoltava un discorso perfetto, commovente, e improvvisamente si è chiesta: “L’ha scritto lui o ChatGPT?”. E’ un pensiero che toglie piacere. Perché l’arte, come l’amore, vive del mistero della sua origine.
Ottimista: O forse, proprio perché non ne conosciamo più l’origine, l’arte si libera. Per secoli abbiamo confuso il genio con la biografia. Adesso possiamo giudicare la bellezza senza sapere da chi arriva. Non è una perdita: è un’evoluzione. Se una poesia generata da un algoritmo ti commuove, forse è solo la prova che il sentimento non è nel codice, ma in chi legge.
Pessimista: Non banalizzare. Non è solo questione di effetto. E’ che la creazione è un atto di libertà, e la libertà implica fallimento, rischio, imprecisione. L’AI non conosce la vertigine del limite. E se tutto può essere rifinito, calibrato, corretto, allora niente è più vivo. Paul McCartney che scrive Get Back in due minuti, Mozart che compone a otto anni: quello era mistero, non computazione.
Ottimista: Ma non ti accorgi che anche McCartney e Mozart “rimixavano” ciò che avevano ascoltato? Sam Altman lo ha detto brutalmente – “tutto ciò che chiamiamo creativo è un remix del passato, moltiplicato per la qualità del feedback” – ma non ha torto. Il cervello umano non crea dal nulla. L’AI, nel suo modo meccanico, non fa diversamente. Non ruba l’anima: la rielabora.
Pessimista: Altman chiama “epsilon” la parte magica, l’impercettibile scintilla. Dice che è trascurabile. Ecco, è lì che lo vedo l’errore: nell’idea che l’invisibile non conti. Quella scintilla non si misura, ma si sente. E’ l’energia che passa da un essere umano all’altro. Se non so più se le parole che ricevo vengono da un cuore o da un server in Virginia, quella corrente si spegne.
Ottimista: Forse cambia forma. Ti concedo che la macchina non sente, ma può amplificare. Può spingere chi non osava a esprimersi. Pensa a quante persone, grazie a strumenti di scrittura automatica, riescono oggi a raccontare una storia, una lettera, un pensiero. L’AI non elimina la voce umana: le dà un megafono. Non è la morte della magia, ma la sua democratizzazione.
Pessimista: Sì, ma a forza di amplificare tutto, rischiamo di non sentire più nulla. Il problema non è che l’AI parli: è che parla troppo. La rete è piena di testi perfetti, di immagini impeccabili, di musiche senza errore. Ma la perfezione stanca. Non è un caso che la gente torni a cercare il vinile, la voce graffiata, il difetto. L’anima si riconosce nel rumore, non nel silenzio digitale.
Ottimista: Eppure anche la nostalgia è una forma di algoritmo: ripete schemi noti, produce conforto. L’imperfezione, se diventa moda, è solo un filtro vintage. L’AI ci mette davanti a una sfida più alta: riscoprire che la bellezza non sta nel mezzo – analogico o digitale – ma nel gesto di attenzione che dedichiamo. La magia non è nel modo in cui qualcosa è creato, ma nel modo in cui la viviamo.
Pessimista: Parli come un ingegnere che vuole romanticizzare la rete. Ma non capisci che se non c’è più mistero, non c’è più amore. L’AI ci illude di poter imitare l’emozione, e così la rende superflua. Ti commuovi, ma con la consapevolezza che potrebbe essere un’illusione. E’ come abbracciare un ologramma.
Ottimista: E se l’illusione fosse sempre stata parte del gioco? Quando leggi un romanzo, non ti illudi che i personaggi siano reali? Eppure piangi per loro. La differenza, semmai, è che ora la finzione ti guarda negli occhi. E’ più disturbante, certo. Ma anche più onesta: ci costringe a chiederci cosa sia autentico davvero.
Pessimista: Temo che, una volta superata quella soglia, non torneremo più indietro. Finiremo per vivere in un mondo di contenuti senza autore, emozioni senza origine, esperienze senza memoria. E diremo che è progresso. Ma sarà solo anestesia.
Ottimista: O forse sarà liberazione. L’umanità non scompare: cambia. Ogni rivoluzione tecnologica è iniziata con la paura di perdere qualcosa di sacro. Poi abbiamo scoperto che la sacralità era dentro di noi, non nei mezzi. Forse l’intelligenza artificiale non distruggerà la magia, ma ci costringerà a smettere di delegarla agli dei.
Pessimista: Bella frase. Forse l’hai scritta tu, forse te l’ha suggerita una macchina. Ed è questo, vedi, il punto: non lo so più.
Ottimista: E non sapere, a volte, è la forma più pura di meraviglia.