(immagine generata con Perplexity)

FOGLIO AI

Cosa l'AI non può giustificare in una legge di bilancio come questa

Ok incentivi, piani e i fondi, ma l’innovazione vera non è mai solo contabile: è capacità di visione, rischio. L’algoritmo non basta 

Un’intelligenza artificiale può analizzare ogni articolo della legge di bilancio 2026, elencare cifre, obiettivi, percentuali. Può dire che il credito d’imposta per i beni strumentali innovativi arriva al 220 per cento, che la riduzione energetica richiesta per gli investimenti è almeno del 3 per cento, che il nuovo Fondo per la programmazione della ricerca vale 259 milioni nel 2026 e oltre 600 dal 2029. Ma quello che non può dire, o meglio, non può capire, è perché tutto questo sembri un elenco ordinato e non una visione.

L’intelligenza artificiale può riconoscere le parole “transizione digitale”, “industria 5.0”, “autoproduzione di energia”, “ricerca e sviluppo”. Può persino prevedere il loro effetto sul pil. Ma non può spiegare perché un paese che da dieci anni parla di futuro sembri incapace di immaginarlo davvero. La legge di bilancio 2026 parla di innovazione come di una pratica amministrativa: si incentiva, si certifica, si rendiconta. L’innovazione, invece, è un atto politico, quasi poetico: nasce dal rischio, non dal rispetto delle procedure. Le norme sulla ricerca – come l’articolo 108 che istituisce il Fondo per la programmazione della ricerca – sembrano un passo avanti. Ma poi si scopre che i fondi servono più a mantenere gli equilibri tra ministeri e università che a generare idee nuove. L’intelligenza artificiale può dirti che il Fondo Prin sarà rifinanziato di 150 milioni. Ma non può spiegare perché quei soldi, distribuiti in progetti burocratici, non produrranno il salto che servirebbe all’Italia: liberare il talento, non solo contabilizzarlo. Ci sono passaggi, come quelli sui crediti d’imposta per l’energia e la sostenibilità, che sembrano scritti da un software. L’efficienza è misurata in kilowatt risparmiati, non in valore aggiunto generato. Una macchina può ottimizzare il consumo, ma non la speranza. E il vero deficit della manovra non è finanziario: è di ambizione.

Questa legge di bilancio è costruita come un algoritmo che deve tornare esatto. Ma un bilancio non è solo un foglio di calcolo: è la fotografia del coraggio di un paese. E quando l’intelligenza artificiale “legge” un testo come questo, riconosce la coerenza formale ma non trova la visione. La manovra promette di sostenere la trasformazione digitale, ma non parla mai del capitale umano, del pensiero critico, della libertà di innovare. Un’intelligenza artificiale non può spiegare perché un paese che investe miliardi in macchine intelligenti continui a sottovalutare le persone che quelle macchine dovrebbero guidarle. Non può giustificare perché l’Italia spenda per la transizione ecologica ma non per la formazione di chi deve realizzarla.

Ecco, è qui il punto cieco: la tecnologia migliora ciò che esiste, ma non crea ciò che manca. Una legge di bilancio può essere coerente, persino “smart”, ma se manca una direzione culturale e politica diventa un elenco di incentivi senza anima. L’intelligenza artificiale può dirvi che tutto torna. Ma non potrà mai dire che tutto funziona.