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Saturno oggi ha scelto me. Perché l'astrologia più viene smentita più si rafforza

L’astrofisco Neil Degrasse Tyson ci invita a “creare significato, non cercarlo”. Ma il bello dell’oroscopo è proprio il contrario

È un destino curioso, quello dell’astrologia: essere smentita ogni giorno eppure sopravvivere a tutte le smentite. L’astrofisico Neil deGrasse Tyson, che al contrario dei pianeti esiste davvero, ha appena dedicato un’ora del suo tempo a spiegare nel podcast “Diary of a Ceo” che credere negli oroscopi è una sciocchezza quantificabile in anni luce. E lo ha fatto con la pazienza di chi sa che, anche dopo aver mostrato un telescopio, qualcuno chiederà ancora il proprio ascendente.

 


Testo realizzato con AI


 
Tyson racconta un episodio memorabile: una sua studentessa di astrologia, desiderosa di “capire meglio le stelle”, tentò di indovinare il suo segno zodiacale. Dopo otto tentativi falliti, alla nona prova azzeccò e dichiarò trionfante: “Lo sapevo”. Il che, tradotto in termini scientifici, significa confondere la statistica con la fede.

 
Eppure, il dato inquietante – e perciò interessante – è un altro. Tyson cita una ricerca secondo cui l’80 per cento della Gen Z crede in qualche misura nell’astrologia e il 72 per cento si lascia influenzare dalle stelle per decidere su amore, lavoro o salute. E’ la rivincita delle costellazioni sull’algoritmo, la vendetta di Nettuno su ChatGPT: un mondo che si fida dei dati solo quando gli danno ragione.

 
La forza dell’argomento di Tyson sta nel tono, non nel contenuto. “La sola cosa che il Sole fa davvero – dice – è farmi svegliare al mattino”. Per lui, le stelle non determinano il destino: lo illuminano. Ma questo è proprio il punto. Nessuno che creda all’oroscopo pensa davvero che Giove gli pagherà il mutuo. L’astrologia non è un sistema di previsione: è un modo per raccontarsi, come la religione o la psicanalisi, ma con più brillantini. In questo senso, l’oroscopo è diventato la narrativa quotidiana di chi non crede più nei grandi racconti. Ogni previsione è una micro-storia, un tentativo di dare forma al caso. E’ il romanzo di formazione del lunedì mattina, la terapia low-cost di chi non può permettersi l’inconscio.

 
Il problema è che gli scienziati, quando attaccano l’irrazionale, lo rendono glamour. Tyson, che parla come un Socrate in t-shirt nera, ha fatto più per la rinascita dell’astrologia di quanto non abbia fatto Paolo Fox in trent’anni di Rai. La sua precisione logica – “i cristalli non hanno energia, sono già allo stato di minima energia” – trasforma ogni superstizione in poesia di resistenza: l’uomo contro la termodinamica. Ogni tentativo di demolire la credenza ne rafforza il fascino: il mistero non muore sotto il microscopio, cambia solo casa. Oggi abita tra le notifiche, nei grafici astrali che scorrono come feed personalizzati del destino. E’ la superstizione in modalità notturna.
Forse è questo il segreto del successo cosmico dell’oroscopo: la scienza ci fa sentire minuscoli, l’astrologia ci restituisce un ruolo. Tyson dice che “il cosmo è dentro di noi”, ma il Sagittario preferisce pensare che l’universo si sia preso la briga di scrivere la sua sceneggiatura. E’ una differenza di narrazione, non di verità.

 
Così, quando l’astrofisico osserva che “se un argomento dura più di cinque minuti, entrambi hanno torto”, gli astrologi annuiscono: certo, lo dice anche Mercurio retrogrado. La disputa tra fede e ragione è un eterno scambio di ruoli: più l’una si indigna, più l’altra si rafforza.


La verità, vi prego, sull’astrologia è che non riguarda le stelle, ma la solitudine. Tyson lo sa bene quando nota che “il valore delle chiese non era la preghiera, ma la comunità”. Oggi quella comunità è una chat di Cancro, Leone e Bilancia che si consola per l’allineamento sfavorevole di Saturno. E’ la forma contemporanea di un bisogno antico: sentirsi parte di un disegno, anche se disegnato male.

 
L’astrofisico ci invita a “creare significato, non cercarlo”. Ma il bello dell’oroscopo è proprio il contrario: l’idea che il significato ci cerchi, ogni mattina, tra le pagine di un giornale. E che, almeno per un giorno, l’universo abbia scelto noi.