
Max, la privacy, il controllo e i filorussi
Come la propaganda putiniana italiana ci spiegherebbe la “superapp” russa
Se fossi un algoritmo di disinformazione al servizio del Cremlino, oggi sarei euforico. La nuova “superapp” russa, Max – obbligatoria su tutti i telefoni dal 1° settembre, progettata per messaggiare, pagare, lavorare e naturalmente farsi monitorare – è la notizia perfetta per mettere alla prova la fantasia della propaganda. E allora immaginiamola, la voce della Russia in salsa italiana.
Testo realizzato con AI
Il primo a parlare sarebbe un noto opinionista da talk show, quello che “vede il buono in ogni autoritarismo purché non venga da Bruxelles”. Direbbe: “In Russia si fa ordine! Un’app unica, integrata, statale. Qui invece per pagare un caffè ci vuole il green pass digitale, lo Spid, la Pec e la benedizione del Garante”. Il pubblico applaudirebbe, confondendo la burocrazia con la libertà.
Subito dopo arriverebbe il filosofo da tweet patriottico: “La superapp di Putin è una risposta alla frammentazione del mondo moderno. Un ritorno all’unità tra cittadino e stato, finalmente mediato da un’interfaccia spirituale”. Tradotto: un panopticon con le icone color pastello.
Poi verrebbero gli influencer “realisti”, quelli che da due anni spiegano che “anche in occidente ci spiavano”. Loro direbbero: “Smettiamola con l’ipocrisia. Pensate che Google sia meglio? Almeno Putin non finge”. E’ il fascino dell’onestà brutale: se ti controllano dichiarandolo, pare quasi un atto di trasparenza.
I giornali filo-eurasiatici avrebbero titoli entusiasti: “Mosca lancia Max: la risposta sovranista all’impero digitale americano”. Nei commenti sotto gli articoli comparirebbero i soliti avatar patriottici: “Almeno lì non ti cancellano se scrivi ‘pace in Ucraina’!” e “Da noi il pensiero unico è peggio!”. Peccato che Max sia stata costruita sotto specifiche dell’Fsb per accedere a foto, contatti, geolocalizzazione e voce. Ma si sa: in Italia la differenza tra privacy e patriottismo è più o meno la stessa tra autocertificazione e autocritica.
Ci sarebbe anche la versione “social-cristiana”: qualche editoriale su Famiglia Digitale, con la tesi che un’app nazionale potrebbe “proteggere i giovani dal caos occidentale”. E’ la morale rovesciata del paternalismo: ti sorvegliano per il tuo bene, come il genitore che legge i messaggi del figlio “per proteggerlo dalle cattive compagnie liberali”.
I complottisti, invece, l’avrebbero già ribattezzata “superApp-Sanità”: “Serve per schedare i vaccinati e chi non crede alla Nato”. Un giorno, chissà, diranno che Max è stata inventata da Putin per “salvare i dati italiani dai server americani”.
E poi arriverebbe l’argomento preferito dei geopolitici da bar: “L’occidente teme Max perché teme la concorrenza”. Già, la concorrenza: come se la libertà di parola e il libero mercato fossero la stessa cosa, e come se un’app di stato che disattiva WhatsApp e Telegram per decreto fosse una start-up particolarmente efficiente.
Nel frattempo, qualche nostalgico di Dugin spiegherebbe che Max è l’incarnazione del “nuovo spazio eurasiatico”: un software che unisce la civiltà russa come un tempo faceva la religione ortodossa. Il paradiso digitale dove tutto è collegato – tranne le Vpn.
Il bello, per la propaganda, è che la storia funziona sempre meglio in Italia che in Russia. Perché qui ogni forma di controllo trova sempre qualcuno pronto a dire che “ci vuole disciplina”. Ogni censura, qualcuno che la chiama “ordine mediatico”. E ogni bavaglio, qualcuno che lo descrive come “protezione dell’identità”. Alla fine, il telegiornale del canale filorusso italiano chiuderebbe con la frase perfetta: “In Russia nasce un’app che unisce i cittadini, mentre in Europa le élite li dividono”.
Ecco, è così che la disinformazione funziona: non difendendo il potere, ma travestendo il potere da antidoto al caos.
In fondo, la Max di Putin non è solo un’app. E’ un’idea politica: trasformare la connessione in fedeltà. E se la propaganda italiana dovesse venderla, non avrebbe difficoltà a farlo. Basterebbe lo slogan giusto: “Meglio spiati da chi ci ama, che liberi in un mondo che non ci capisce”.


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