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L'attentato a Sigfrido Ranucci non è un fatto da archiviare

La bomba che ha distrutto l’auto del conduttore di Report a Pomezia poteva uccidere. Non è solo un avvertimento a un giornalista, ma un segnale grave contro la libertà d’inchiesta. Minimizzare sarebbe un errore

Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre un ordigno è esploso a Campo Ascolano, frazione di Pomezia, distruggendo l’auto del giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, e danneggiando la seconda vettura di famiglia e la facciata della casa. L’esplosione, avvenuta intorno alle 22, è stata così potente da poter uccidere chiunque si trovasse nei pressi. La figlia del giornalista era passata pochi minuti prima con la sua macchina. Sul posto sono intervenuti carabinieri, Digos, vigili del fuoco e polizia scientifica: secondo le prime ricostruzioni sarebbe stato utilizzato almeno un chilo di esplosivo.

   

Ranucci ha collegato l’attentato all’annuncio, avvenuto pochi giorni fa, dei temi delle nuove inchieste di Report. L’episodio riporta in primo piano il tema della sicurezza di chi fa giornalismo d’inchiesta, in un paese dove la libertà di informare non è mai scontata.

Prendere sul serio questo gesto significa riconoscere che ogni intimidazione a un cronista è un colpo alla fiducia pubblica e al diritto dei cittadini a sapere. Non serve enfatizzare, ma serve capire: non è solo una macchina saltata in aria, è un segnale che va fermato prima che diventi abitudine.

Ha ragione Giorgia Meloni, intervenuta stamattina su questo tema, quando scrive che “la libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere”. Anche l'ad Rai Giampaolo Rossi e Viale Mazzini inviano un messaggio di solidarietà. "L’essenza vitale della nostra democrazia è la libertà informativa che la Rai garantisce e che i suoi giornalisti rappresentano. Ogni tentativo intimidatorio contro chi lavora per un'informazione libera e indipendente è un attacco allo stesso Servizio Pubblico".