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Il Foglio AI

Il piano di Trump che ha riportato gli ostaggi e riaperto Gaza

 Il piano di Donald Trump per Gaza – firmato da Israele e accettato da Hamas – segna un punto di svolta: fine delle ostilità, amnistia per chi depone le armi, governo tecnico palestinese e un “board of peace” guidato dallo stesso Trump per ricostruire la Striscia

Con il rilascio degli ostaggi comincia la fase due del piano di pace più ambizioso e controverso mai proposto per Gaza. Il “20 point Gaza Peace Plan” presentato da Donald Trump alla Casa Bianca il 29 settembre e accettato da Israele e Hamas nei giorni successivi segna, per molti, la fine di due anni di guerra e l’inizio di una nuova architettura politica e civile nel medio oriente.

Il piano, che si apre con la promessa di una Gaza deradicalizzata e libera dal terrore, prevede una serie di passi immediati e vincolanti. Primo: cessate il fuoco e sospensione di ogni operazione militare; secondo: restituzione di tutti gli ostaggi, vivi o morti, entro 72 ore dall’accettazione dell’accordo; terzo: rilascio da parte di Israele di circa duemila prigionieri palestinesi, fra cui tutte le donne e i minori arrestati dopo il 7 ottobre 2023.
A questo scambio, oggi completato con il rilascio dei 48 prigionieri rimasti, si aggiunge la clausola più politica: Hamas potrà sopravvivere come entità civile solo se rinuncerà alle armi. Chi deporrà l’arsenale e firmerà un impegno alla coesistenza pacifica otterrà amnistia; chi vorrà lasciare Gaza avrà un passaggio sicuro verso paesi terzi.


La seconda fase è economica e amministrativa. Gaza – scrive il piano – sarà governata da un comitato tecnico palestinese, apolitico, composto da esperti locali e internazionali, con il compito di gestire servizi e infrastrutture sotto la supervisione di un nuovo organismo internazionale: il “board of peace”, presieduto da Trump in persona e coadiuvato da leader come Tony Blair. Questo organismo dovrà garantire fondi, trasparenza e un percorso di riforma in attesa che l’Autorità palestinese possa riassumere il controllo del territorio.

L’aspetto forse più innovativo del piano riguarda la ricostruzione economica. Trump propone la creazione di una zona economica speciale con tariffe agevolate e investimenti internazionali per trasformare Gaza in un hub produttivo regionale. Una “mini-Dubai del Mediterraneo”, nelle intenzioni dei creatori del piano, sostenuta da capitali arabi, americani e israeliani. L’obiettivo: creare lavoro e ridare dignità ai civili gazawi, “che hanno sofferto abbastanza”.

Parallelamente, verrà avviato un programma di smilitarizzazione totale della Striscia. Tutte le infrastrutture belliche dovranno essere distrutte; le armi riconsegnate e neutralizzate sotto controllo di osservatori indipendenti; un fondo internazionale finanzierà il “buy-back” e la reintegrazione dei combattenti. La nuova Gaza dovrà essere interamente dedicato alla prosperità e alla pace con i vicini.

Per la sicurezza, il piano prevede la nascita di una International Stabilisation Force, forza multinazionale temporanea addestrata da Stati Uniti, Egitto e Giordania, incaricata di collaborare con le forze di polizia palestinesi e di garantire il controllo dei confini e la circolazione sicura dei beni. Israele, dal canto suo, non occuperà né annetterà Gaza: ritirerà progressivamente l’esercito secondo un calendario legato ai progressi della smilitarizzazione, mantenendo solo una fascia di sicurezza fino al completamento del processo.

Il piano prevede anche una clausola di continuità: se Hamas dovesse ritardare o respingere gli accordi, l’operazione di aiuti e ricostruzione proseguirà comunque nelle “aree liberate dal terrore”, sotto controllo congiunto della forza internazionale e dell’autorità di transizione.

Accanto agli aspetti militari e politici, il documento introduce un elemento culturale inedito: un processo di dialogo interreligioso tra ebrei e musulmani “basato sui valori della tolleranza e della coesistenza pacifica”, per favorire un cambio di mentalità nelle nuove generazioni e disinnescare la narrativa dell’odio.

Infine, i punti diciannove e venti aprono un orizzonte politico: quando le riforme dell’Autorità palestinese saranno compiute e Gaza stabilizzata, potranno crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e lo stato palestinese. A quel punto, gli Stati Uniti si impegnano a istituire un tavolo permanente di dialogo con Israele per definire “una convivenza pacifica e prospera”.

Per ora, però, la notizia è un’altra. Dopo due anni di guerra, gli ostaggi tornano a casa. Gaza riapre i valichi per gli aiuti. E il medio oriente scopre, forse, che la pace di Trump – per quanto imperfetta, per quanto gravida di incognite – è più concreta di tante utopie fallite. La differenza è tutta in una frase del documento: “Non costringeremo nessuno a lasciare Gaza. Incoraggeremo tutti a restare per costruire un futuro migliore”.

Un’idea semplice, e rivoluzionaria. In un luogo dove, per la prima volta da decenni, il verbo che torna possibile è “ricominciare”.