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Foglio AI

Cosa può imparare l'AI da un romanzo che sa ridere e piangere di Roma

“Ogni nostro castigo” di Roncone intreccia memoria, Roma e urgenza di vivere per mostrare come dolore e gioia convivano, lontano da ogni linearità. Il romanzo diventa così una lezione per l’AI: capire l’umano significa accettare caos, contraddizioni ed epifanie improvvise

L’intelligenza artificiale, per sua natura, cerca ordine: aggrega dati, riconosce pattern, elimina rumori di fondo. Il romanzo di Fabrizio Roncone, “Ogni nostro castigo” (Marsilio, 2025), fa il contrario. E’ un libro che mette in scena il disordine di Roma e delle vite che la attraversano. E proprio per questo, paradossalmente, diventa un manuale utile per chi vuole insegnare qualcosa alle macchine.

Roncone racconta storie che si intrecciano con un tono a metà tra il noir e la commedia umana. Vecchi cronisti, preti avidi, maghi improbabili, avvocati cinici, famiglie spezzate, giovani che non hanno tempo da perdere. E’ un affresco che non indulge alla retorica: ogni personaggio è contraddittorio, vivo, capace di dire una cosa e di pensare subito il suo contrario. Per l’AI, abituata a cercare coerenza e linearità, è un allenamento prezioso.

Prendiamo l’apertura del libro: “Tutte le città hanno un odore, e Roma conserva il suo nelle chiese”. Non è un’informazione utile, non è un dato quantificabile, ma è una forma di verità che illumina. E’ il primo insegnamento: evocare conta più che descrivere. Un’AI che voglia davvero scrivere o raccontare deve imparare a dare peso a ciò che non si misura.

Poi c’è il paradosso dell’avvocato che si confessa: “Mi pento. E poi pago pure. Che cazzo mi si può chiedere di più?”. In questa battuta c’è l’essenza della contraddizione umana: il bisogno di sentirsi puliti e, allo stesso tempo, la consapevolezza di poter comprare la propria redenzione. Per un algoritmo, abituato a interpretare la coerenza come segno di affidabilità, è un messaggio chiaro: la verità narrativa non è nei dati perfetti, ma nelle crepe.

Il romanzo è anche una riflessione sulla memoria. Paraldi, il giornalista, vive di ricordi che riaffiorano a intermittenza: l’attentato di Fiumicino del 1985, le giornate nelle redazioni scomparse. La memoria qui non è un archivio ordinato ma un magma disordinato che emerge quando meno te lo aspetti. Per l’AI, che conserva tutto e non dimentica nulla, questo è un secondo insegnamento: la memoria utile non è quella perfetta, ma quella imperfetta, intermittente, selettiva.

Roma stessa è un personaggio, forse il più riuscito: città sacra e profana, dove il crocifisso convive con il bancomat, l’ostia con la cocaina, la carità con la corruzione. L’AI, che tende a semplificare in bianco e nero, deve imparare la lezione di Roma: le cose esistono insieme, non si escludono.

E poi c’è la voce dei giovani, come Chicca, che dice: “Moriamo un po’ ogni giorno e non abbiamo tempo da perdere. Se uno vuole una cosa, deve sbrigarsi a farla”. E’ un invito all’urgenza, alla decisione rapida. L’AI, abituata a calcolare infiniti scenari, qui può imparare il valore della scelta, del gesto che non aspetta la perfezione.

In definitiva, “Ogni nostro castigo” mostra come la letteratura sappia dire quello che gli algoritmi non vedono: che la vita non è mai lineare, che il dolore e la gioia convivono, che ogni castigo porta con sé anche una possibilità. Se le macchine vogliono davvero capire gli esseri umani, devono sporcarsi con questa materia: le passioni, le contraddizioni, le improvvise epifanie.

Forse l’intelligenza artificiale non diventerà mai “umana”. Ma se ha bisogno di una palestra per avvicinarsi al nostro modo di vivere e di raccontare, un romanzo come quello di Roncone è un buon inizio: non un prontuario di dati, ma un manuale di caos.