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Il Foglio AI
Due mari, due misure
Tutti in piazza contro Putin (dopo aver sfilato per Gaza). Chi è pronto a indignarsi per la Palestina fatica ancora a pronunciare la parola che conta: Russia
Ci sono due mari oggi in cui si riflette la confusione morale dell’occidente. Uno è quello di Gaza, agitato dalle emozioni, dalle semplificazioni, dalle piazze che scambiano la solidarietà per una geopolitica. L’altro è quello del Baltico, dove le onde non portano bandiere ma ombre: quelle della flotta fantasma russa che trasporta petrolio, spia infrastrutture, taglia cavi sottomarini e sfida apertamente la Nato. Nel primo mare, si grida “libertà”; nel secondo, si capisce che la libertà va difesa anche quando non fa comodo gridarla.
L’ultima inchiesta dell’Economist racconta una guerra grigia che non fa rumore ma mina la sicurezza europea. Centinaia di navi russe e para-russe navigano ogni giorno sotto false bandiere, con registri truccati e proprietà opache, per eludere le sanzioni e spiare porti, gasdotti, dorsali digitali. E’ la flotta del contrabbando e della disinformazione. Una rete che si estende dal Baltico al Mar Nero, fino alla Cina, e che serve a tenere in vita l’economia di guerra di Putin, aggirando ogni embargo occidentale. In Estonia, in Danimarca, in Germania, le marine Nato sono costrette a inseguire petroliere senza identità, pescherecci che sono radar galleggianti, navi che fingono incidenti per poter spegnere i transponder e osservare cavi sottomarini. E’ la versione marittima delle interferenze digitali: invisibile, costante, letale. Un comandante estone, citato dal settimanale, dice che affrontare questi bastimenti “è come cercare di mordere un’ombra”. E infatti la strategia del Cremlino è proprio questa: stancare, confondere, normalizzare l’illegalità.
E’ curioso come la stessa Europa che si emoziona per ogni nave diretta a Gaza riesca a ignorare per mesi le navi russe che solcano impunite il Baltico. Curioso, ma non sorprendente. Perché l’antimperialismo selettivo è diventato un vizio morale. Chi manifesta per la pace dovrebbe sapere che la pace non è neutrale, e che esiste anche nel Mar del Nord una linea del fronte. Lì, mentre sventolano bandiere arcobaleno nelle piazze, la Nato intercetta cavi tagliati, petrolio di contrabbando, sistemi spia. L’articolo racconta di come la “flotta oscura” sia cresciuta da 200 a quasi 1000 navi dopo l’invasione dell’Ucraina. Navi che cambiano bandiera ogni 45 giorni, che usano registri di paesi fantasma, che operano “completamente fuori dalle regole internazionali, come un dito medio al mondo”.
Eppure, mentre questa guerra silenziosa continua, una parte della sinistra europea, quella più pronta a indignarsi per Gaza, fatica ancora a pronunciare la parola che conta: Russia. Non si tratta di scegliere un campo in un dibattito universitario. Si tratta di capire chi sta sabotando fisicamente le nostre infrastrutture, chi finanzia i regimi che reprimono, chi arma le dittature. La flotta nera di Putin non è un’astrazione militare: è il prolungamento del suo disprezzo per l’occidente. E’ la prova che la Russia non combatte solo con i carri armati, ma con la menzogna e l’ambiguità. Per troppo tempo l’Europa ha pensato che il pacifismo fosse una politica e non una posa. Oggi scopre che la minaccia non è solo nei cieli ucraini, ma nei suoi mari, sotto i suoi cavi, nei suoi silenzi. E che non basta manifestare contro la guerra per difendere la pace, se non si ha il coraggio di riconoscere chi la guerra la porta davvero.


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La banalità del male in salsa Pd
