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Il Foglio AI
Algoritmi e sovranità. Un confronto sulla corsa all'AI
Nel dialogo tra un conservatore e un progressista, il primo denuncia l’assenza di giganti tecnologici, data center e chip, accusando Bruxelles di regolamentare prima di costruire. Il secondo rivendica invece i punti di forza: startup, modelli open source, Chips Act e AI Act
Conservatore: Lascio perdere le illusioni: l’Europa nella corsa all’intelligenza artificiale non è in ritardo, è ferma. Guardiamo i numeri: su dieci big tech mondiali che investono miliardi nell’AI, neanche una è europea. Negli Stati Uniti, OpenAI e Google bruciano capitali e calcolano modelli, in Cina Baidu e Tencent corrono con il sostegno del Partito. Noi? Abbiamo comitati etici e regolamenti da compilare.
Progressista: Sempre il solito catastrofismo. E’ vero che non abbiamo i giganti globali, ma abbiamo un ecosistema di startup vivace, laboratori universitari di altissimo livello, centri di ricerca pubblici che attraggono talenti. E soprattutto abbiamo Mistral in Francia, Aleph Alpha in Germania, Stability AI a Londra: non sono giganti, ma sono la prova che l’Europa può produrre innovazione open source capace di farsi sentire nel mondo.
Conservatore: Innovazione open source, sì, ma con quale potenza di fuoco? Mistral ha raccolto un miliardo, Microsoft da sola investe cinquanta miliardi l’anno in AI. Non è la stessa partita. E’ come mandare in campo un ciclista contro una Formula 1.
Progressista: Ma non sottovalutare la qualità. Gli europei hanno puntato sull’apertura, sulla trasparenza dei modelli, e questo li rende attrattivi per governi, università, imprese che non vogliono dipendere dagli oligopoli americani o cinesi. Sai che i dataset di Mistral sono già utilizzati da amministrazioni pubbliche che non possono permettersi black box straniere?
Conservatore: Sì, ma se non hai la scala, non conti. Senza calcolo, senza data center, senza chip, puoi fare tutta la poesia che vuoi, ma resterai marginale. Non a caso Nvidia, con le sue GPU, vale più di tutte le borse europee messe insieme.
Progressista: E qui però c’è spazio per un’Europa pragmatica. I governi hanno capito che l’autonomia industriale passa dai semiconduttori. L’European Chips Act punta a raddoppiare la quota di produzione globale di chip dal 10 al 20 per cento entro il 2030. È un obiettivo ambizioso, ma almeno è una direzione.
Conservatore: Sì, ma intanto siamo dipendenti da Taiwan, e se Pechino decidesse di bloccare l’isola saremmo in ginocchio. Parlare di 2030 non basta. Servono scelte immediate: attrarre TSMC, incentivare Intel, finanziare ARM. E invece stiamo ancora a discutere sulle linee guida dell’AI Act.
Progressista: L’AI Act è la nostra forza. Gli altri sviluppano senza regole, noi proviamo a creare uno standard. E’ la stessa storia del Gdpr: all’inizio tutti ridevano, poi le regole europee sulla privacy sono diventate un benchmark globale. Con l’AI può succedere lo stesso.
Conservatore: Ma il problema non è che l’Europa regola troppo, è che lo fa prima di costruire i campioni industriali. E’ come scrivere la Costituzione di un paese che ancora non esiste.
Progressista: Oppure è lungimiranza. Se riesci a imporre standard di trasparenza e sicurezza, magari costringi anche gli americani e i cinesi a venire a patti con te. E nel frattempo puoi sviluppare un mercato unico europeo dell’AI, fatto di PMI che usano modelli a costi accessibili. Pensa a cosa significa per la manifattura italiana, per l’agricoltura di precisione, per la sanità digitale.
Conservatore: Ma senza grandi player non c’è innovazione sistemica. La Silicon Valley funziona perché ha big tech che generano ecosistemi. Noi abbiamo distretti bravi, certo, ma dispersi. E quando una startup cresce, finisce acquisita da americani o cinesi.
Progressista: Ma questo è anche colpa dei governi nazionali. Non si può chiedere all’Europa di fare miracoli se gli stati membri non mettono capitali, non creano fondi sovrani per l’AI, non favoriscono le scale-up. In Francia, Macron ha puntato forte su Mistral; in Germania, Scholz su Aleph Alpha. L’Italia cosa aspetta?
Conservatore: Aspetta che sia Bruxelles a decidere. Ed è proprio questo il problema: troppa frammentazione.
Progressista: Però qualche segnale c’è. Il fondo europeo per l’innovazione tecnologica, Horizon, le missioni comuni sul calcolo quantistico, la creazione di reti di supercomputer condivisi. Sono mattoni di un edificio che non è ancora finito, ma che sta prendendo forma.
Conservatore: E intanto gli altri corrono. Gli americani hanno ChatGPT che cambia il mondo del lavoro, i cinesi integrano l’AI nella governance e nella sorveglianza, noi facciamo conferenze. La domanda è: vogliamo essere protagonisti o spettatori?
Progressista: Io dico protagonisti, ma a modo nostro. Non replicheremo Google o Baidu, ma possiamo guidare l’AI applicata: nei trasporti, nella sanità, nell’energia. Abbiamo un capitale di fiducia che altri non hanno: se un cittadino europeo usa un modello AI certificato dall’Ue, sa che i suoi dati non finiscono in un buco nero. E’ un valore competitivo.
Conservatore: Bello, ma un po’ ingenuo. Perché alla fine le aziende scelgono quello che funziona meglio e costa meno. Se il modello americano o cinese è più potente, l’etica non basta a bilanciare.
Progressista: Etica più innovazione, allora. Dobbiamo investire sul talento. Sai che oltre il 25 per cento dei ricercatori AI di Google e Meta sono europei emigrati? Se riuscissimo a riportarne anche solo una parte, cambierebbe la partita.
Conservatore: D’accordo. Ma serve un contesto dove questi talenti possano lavorare senza scappare. Serve capitale di rischio, serve velocità nelle autorizzazioni, serve cultura industriale.
Progressista: Ecco, qui ci troviamo. Il Green Deal tecnologico, quello sull’AI, deve essere un piano industriale, non un codice morale. Regole sì, ma accompagnate da investimenti giganteschi.
Conservatore: Bravo. Quindi siamo d’accordo: oggi l’Europa è marginale, ma non condannata. Con il giusto mix di realismo e ambizione, può ancora farsi spazio.
Progressista: Allora concludiamo così: tu smetti di dire che siamo un museo, io smetto di fingere che bastino i regolamenti. E insieme possiamo immaginare un’Europa che non solo osserva l’AI, ma la guida.