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Il messaggio di Salvini a Meloni

Gli slogan del leader della Lega, che  parla alla premier come se le stesse lanciando un ultimatum

Certe domeniche politiche assomigliano a una telefonata mai fatta. Domenica Matteo Salvini  non ha attaccato apertamente Giorgia Meloni, ma ha fatto di tutto per farsi sentire da lei. Ha parlato al suo elettorato, certo. Ma soprattutto ha parlato a lei. E non solo per ricordarle che la Lega esiste ancora, ma per lanciare un messaggio che, letto tra le righe, suona più o meno così: se ti sposti troppo al centro, qualcuno ti ricorderà da dove vieni. Il primo segnale è stato simbolico. Salvini ha evocato Charlie Kirk. Non era un riferimento casuale: era una dichiarazione d’intenti. Come a dire, da Pontida all’America, la Lega resta il partito che non chiede permesso per essere di destra. Se Meloni guarda al centro, Salvini guarda agli applausi. Poi c’è stata la solita invettiva contro il mainstream, i benpensanti, i nemici interni ed esterni, con una narrazione che più che un discorso sembra un elenco: giudici, Europa, Macron, i media. Salvini, qui, non ha detto nulla di nuovo. Ma ha ribadito con forza la linea: la destra non può addomesticarsi. Se il governo vuole restare credibile agli occhi di un certo elettorato, non può sembrare troppo rispettabile. Troppa istituzione uccide la passione. Anche la politica estera è stata usata come leva: Macron è un bersaglio utile, Bruxelles un campo di battaglia permanente. La Lega è pronta ad alzare la voce, dice Salvini.   E poi ci sono i palcoscenici: quelli piccoli e quelli giganteschi. Mentre Meloni si presenta in tv con Mara Venier nel rassicurante rito del pranzo della domenica, Salvini costruisce l’idea di una Lega sempre all’opposizione anche quando è al governo. Non fa la guerra aperta, ma ricorda a Meloni che a destra c’è ancora un pubblico da sedurre. E se lei non lo fa, lui lo farà.

Il gioco, insomma, è tutto interno. Salvini non vuole rompere, ma vuole segnare il territorio. Più che sfidare Meloni, la pungola. Le dice: guarda che non puoi pensare di piacere a tutti. Se lasci spazio alla moderazione, qualcuno dovrà interpretare l’identità. La Lega ha perso pezzi, voti, centralità. Ma Salvini vuole restare nella partita.  Anche a Bruxelles, dove la geografia parlamentare non combacia più con quella della politica interna, Salvini punta ad affermare la sua centralità attraverso la dimensione europea. Se Meloni siede tra i Conservatori, lui sogna un’alleanza alternativa tra Identità e Democrazia e i Patrioti di Le Pen. 

E così, mentre la premier costruisce il profilo della leader responsabile, Salvini si riserva il ruolo di voce dell’inquietudine. E’  una competizione latente, che si nutre di eventi simbolici, di retorica parallela e di piccoli gesti che hanno il sapore della sfida. Come dire: io sono ancora qui. E se qualcuno, da Bruxelles a Mara Venier, dovesse dimenticarlo, sarà lui stesso a ricordarglielo. Con un tweet, una diretta Facebook o – meglio ancora – un comizio davanti al pubblico giusto, quello che non ha bisogno di sottotitoli per capire da che parte sta il cuore di Matteo Salvini.