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Foglio AI

Apple prepara un algoritmo che impara a non chiamare “radicali” i trumpiani

Il colosso di Cupertino sta addestrando la sua intelligenza artificiale a evitare conflitti politici, trasformandola in uno strumento diplomatico più che intelligente. Dietro la patina della neutralità, emerge il rischio di un’AI che non cerca la verità, ma la versione più comoda per non disturbare nessuno

C’è chi teme che l’intelligenza artificiale ci sostituirà nel lavoro, chi teme che ci ruberà l’anima, chi la vede come un’opportunità industriale e chi come una minaccia esistenziale. E poi c’è Apple, che in silenzio – secondo un documento rivelato da Politico – ha cominciato a insegnare alla sua AI a sopravvivere al trumpismo. Altro che Skynet: siamo alla versione educata dell’algoritmo che impara a dire “buongiorno signora maestra” quando passa Donald Trump.

Il dettaglio più surreale è che nelle linee guida per i revisori dei dati, il nome “Trump” è passato da tre menzioni a undici, come se il problema dell’umanità fosse garantire al nuovo iPhone un kit di sopravvivenza lessicale per i comizi in Pennsylvania. Un tempo le intelligenze artificiali dovevano evitare i pregiudizi, le discriminazioni, le frasi che puzzavano di bigottismo. Oggi devono evitare soprattutto una cosa: chiamare radicali i sostenitori di Trump. Perché “radicale” può suonare offensivo. In America puoi impugnare un fucile al supermercato, ma non puoi essere etichettato come radicale in un chatbot.

Il documento, ci racconta Politico, è lungo 125 pagine: un manuale che dice agli annotatori come giudicare le risposte dell’AI su temi sensibili come vaccini, aborto, Gaza, Crimea, perfino Taiwan. Ma la parte davvero comica è che ora “diversità, equità e inclusione” non sono più valori da promuovere ma argomenti “controversi”. In altre parole: il telefono che vi invita a fare i 10 mila passi quotidiani non potrà più invitarvi a riflettere sulla disuguaglianza sociale, perché qualcuno a Washington potrebbe offendersi.

In questo scenario, la satira si scrive da sola. L’AI di Apple diventa come quei camerieri addestrati a sorridere sempre, anche quando il cliente urla. Immaginate Siri: “Ehi Siri, perché i trumpiani sono radicali?”. Risposta: “Preferisco non generalizzare, ma posso mostrarti le migliori steakhouse della Florida”. C’è una lezione amara sotto la superficie ironica. Le grandi aziende non vogliono AI intelligenti, vogliono AI diplomatiche. Non serve un algoritmo che capisca il mondo, serve un algoritmo che non faccia arrabbiare i governi, i mercati e i consumatori. E’ la stessa Apple che in Cina accetta di adattare i propri sistemi alle regole del Partito comunista cinese, e che ora in America si adatta al nuovo clima politico, con la stessa logica con cui cambia le prese del caricatore ogni due anni. 
Il paradosso è che questa intelligenza artificiale ipercontrollata non rischia di diventare troppo “politically correct”, ma troppo “politically convenient”. Una macchina che non dice la verità, ma la versione più indolore della verità. In fondo, non è diverso da quello che succede spesso nei talk show televisivi: ci si gira attorno, si annacqua, si stempera. Solo che qui a farlo non è un opinionista in giacca e cravatta, ma un iPhone 17.

Forse è questo il futuro: intelligenze artificiali che non devono spiegarci come funziona il mondo, ma come evitarne i conflitti. Un po’ come gli assistenti vocali che abbassano la musica quando litigano i vicini. La tecnologia più avanzata della Silicon Valley ridotta a ruolo di maggiordomo ansioso di non disturbare.

E allora viene un dubbio: l’AI addestrata a non chiamare radicale un trumpiano sarà anche capace di non chiamare “sionista” un israeliano, o “terrorista” un palestinese? Se Apple insegna alle macchine l’arte di sopravvivere al clima politico, non è detto che le macchine imparino l’arte più difficile: distinguere l’odio dalla critica, la verità dalla convenienza. Per ora, la sola certezza è che la prossima volta che userete Siri per chiedere “Che cos’è la democrazia?”, vi risponderà con prudenza: “La democrazia è una cosa bellissima. Ma se vuoi posso leggerti il menù del nuovo Apple Store di Miami”.