
Il vero gossip dell'estate: la regina, il servitore e il sesso di cui non sapremo mai
Chi ha bisogno di serie tv quando c'è il libro di Fern Riddell su Vittoria e il suo stalliere John Brown?
Chi ha bisogno di serie tv quando la regina Vittoria, il suo stalliere scozzese John Brown e un’Inghilterra vittoriana carica di sensi di colpa e perbenismo ci regalano il vero gossip dell’estate? Altro che William e Kate, Meghan e Harry, Carole Middleton o la nuova pettinatura di Camilla: il libro di Fern Riddell, “Victoria’s Secret. The Private Passion of a Queen”, riaccende con energia la domanda più irresistibile della storiografia spinta: ma la regina se l’è fatto o no, John Brown? Il bello è che la risposta continua a essere un magnifico “forse”. Ed è proprio questo che rende la vicenda irresistibile, degna di mille repliche, romanzetti, fiction BBC, articoli di giornale e chiacchiere da pub. Riddell, storica brillante e impertinente, aggiorna l’inventario delle prove, delle insinuazioni, delle testimonianze più o meno attendibili. Ma soprattutto, come ricorda Kathryn Hughes nella sua recensione sul “Guardian”, mette le mani nel vaso del miele narrativo: la vedova regina, devota al defunto Albert ma sentimentalmente (e forse non solo) attaccata al suo rude e leale servitore scozzese.
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La storia, a grandi linee, è nota. Nel 1861 muore il principe consorte, e la regina Vittoria cade in una depressione lunga come il suo regno. Nel frattempo, John Brown, highlander testardo, rozzo e fedele come un cane, diventa sempre più indispensabile. La regina lo vuole ovunque: a Balmoral, a Windsor, a Buckingham. Si fida solo di lui. Gli scrive biglietti, gli affida mansioni riservate, lo chiama “amico intimo”, poi “il mio Brown”, poi solo “Brown”. I figli della regina – dice Riddell – si prendono gioco di lei, la sfidano chiamandolo “Mother’s Mr Brown”, e quando uno rifiuta di farlo viene cacciato dal palazzo. Intanto l’opinione pubblica rumoreggia. Cosa ci fa questo burbero scozzese sempre accanto alla regina? Perché comanda più dei ministri? Perché la vedova del re pare improvvisamente così allegra, così piena di attenzioni, così poco interessata al decoro? Nasce “la questione Brown”, ovvero il chiacchiericcio nazionale sul fatto che il redivivo spirito monarchico stia dormendo in una camera accanto – o dentro – a quella della sovrana. Il pettegolezzo si fa questione di Stato, perché l’Inghilterra vittoriana è in preda a un’ansia da sicurezza nazionale: tra attentati anarchici, minacce repubblicane, regicidi sul continente, sapere chi sta accanto alla regina non è solo una questione morale, ma geopolitica.
Fern Riddell, attingendo al Brown Family Archive e ad alcune confessioni postume di ecclesiastici scozzesi, rilancia: forse furono sposati in segreto, dice. Forse addirittura fecero sesso. Forse anche no. Forse. Il reverendo Norman MacLeod avrebbe celebrato le nozze nel 1872, salvo poi pentirsene. Nessun documento ufficiale, solo memorie, lettere, voci. Il che, naturalmente, rende tutto molto più affascinante. Perché la questione diventa: non cosa è successo, ma cosa vogliamo credere sia successo. E allora è qui che la regina Vittoria diventa, oggi, un personaggio degno di una fanfiction moderna: vedova inconsolabile, madre esasperante, icona pubblica tormentata da desideri privati, forse trasgressiva, forse solo umana. E John Brown? Un before-Andrew Scott, un antesignano dello stalliere sexy, il Mr Darcy in gonnellino, l’uomo che si fa beffe delle regole pur di restare fedele alla donna che ama.
Il libro si legge come un romanzo, ma gioca col saggio. C’è il quadro scandaloso di Edwin Landseer, dove Brown tiene il cavallo mentre la regina siede fiera, vestita di nero, e dietro i vestiti buttati a terra sembrano suggerire una notte di passione. C’è la letteratura dell’epoca, la stampa scandalistica, le confessioni dei medici di corte che avrebbero trovato sotto il letto reale i segni di una relazione intensa. E c’è, soprattutto, il tono da investigazione storica con un brivido da Bridgerton.
Ma Fern Riddell è onesta: non possiamo sapere con certezza se ci fu sesso. Né se ci fu amore come lo intendiamo oggi. Forse furono solo due anime sole, che si tennero compagnia. Forse furono molto di più. Ma è proprio questo il punto: lo “scandalo” non sta tanto nel nudo (mai certificato), ma nella possibilità che la regina fosse stata, per una volta, non regina. E quindi viva, desiderante, ribelle.
In fondo, è per questo che ci piace così tanto questa storia. Perché ci permette di vedere l’Inghilterra vittoriana – rigida, moraleggiante, ingessata – come un grande palcoscenico in cui si consuma, in sordina, il dramma più umano di tutti: quello di chi cerca un po’ di calore dopo il lutto, un po’ di intimità nel gelo del potere. E se anche non ci fu sesso, ci fu sicuramente passione. Una passione che mette a nudo – stavolta sì – i nervi scoperti della monarchia.