(foto realizzata con Grok)

Il Foglio AI

Cosa frulla nel Gps delle coppie che condividono ogni loro movimento con app e notifiche

Notifiche, tracciamenti e app sostituiscono la fiducia. Tra ansie e dipendenza digitale, la geolocalizzazione diventa il nuovo cerotto delle relazioni zoppicanti

C’è stato un tempo in cui l’amore era attesa. Il cuore batteva quando sentivi le chiavi nella serratura, il telefono squillava e pensavi: “Sarà lui?”. Adesso l’amore vibra sotto forma di notifica: “Ha lasciato il lavoro”, “E’ arrivata a casa”, “Sta entrando in  un bistrot con la segretaria bionda”. E’  la nuova frontiera del romanticismo: la condivisione della posizione in tempo reale.   Cosa c’è nel cervello delle coppie che si amano via satellite?   La risposta breve è: una fiducia armata di paranoia.  

Nel 2025, l’amore moderno si gioca su app come “Dov’è?”, “Life360” o “Trova il mio disgraziato”, in cui il partner diventa una specie di Pokémon da seguire in ogni spostamento urbano. Non più: “Mi fido, ma controllo”. Ora è: “Controllo, e poi forse mi fido”. Perché l’amore non è più cieco: ha il radar. Le coppie si regalano la condivisione della posizione come prova d’amore. Altro che anello o chiave di casa. Ora è: se mi ami, fammi sapere dove sei alle 3 di notte quando dici che dormi da tua cugina. Che è un modo un po’ ansioso per dire: “Tesoro, sei il mio tutto… finché non sconfini nel quartiere di quella con cui uscivi nel 2018”.

Un tempo l’insicurezza si gestiva con l’oroscopo o la cioccolata. Ora si gestisce con l’icona azzurra che si muove sulla mappa. L’idea è geniale: se posso vedere dove sei, sarò più tranquillo. Tranne che non è vero. Perché se la posizione non si aggiorna? Se sei fermo in un posto sospetto? Se sei vicino a un hotel ma non dentro? E soprattutto: se spegni la condivisione? “Se la spengo, penserà che la tradisco”, confessa un povero cristo in un articolo del Guardian. Capito il cortocircuito? La libertà è diventata sospetta. La privacy è un atto ostile. La fiducia si misura a notifiche. Eppure, qualcuno difende questa pratica. “Lo facciamo per sicurezza”, dicono. “Per sapere che l’altro è arrivato sano e salvo”. Un tempo per questo si usava un messaggio: “Tutto bene, sono a casa”. Ora lo dice l’algoritmo. E se non lo dice, ti prende un colpo. 
C’è poi l’aspetto tragicomico. Come la volta in cui lui, convinto che lei fosse in ospedale, la chiama in preda al panico: stava semplicemente passando in treno davanti al pronto soccorso. O quando scopri che è entrato nella tua pasticceria preferita senza dirti nulla. E ti senti tradito più che se avesse avuto un’amante.

Il punto non è la tecnologia. E’ l’uso che ne facciamo per tenere in piedi relazioni zoppicanti. La localizzazione è il nuovo cerotto di coppia: tiene insieme pezzi che non stanno più su da soli. Ti amo, ti seguo, ti traccio. Così non posso perderti. Ma nemmeno posso respirare. Poi c’è la dipendenza emotiva. Lo dice anche l’articolo: dopo un po’ ti abitui. Apri Instagram, Gmail, meteo… e poi l’app di tracciamento. Per vedere dov’è. Cosa fa. Se ti ha tradito, o semplicemente dimenticato. Diventa una specie di reality sentimentale, in cui lo show è la sua vita e tu guardi dal satellite. E la parte migliore? La decisione di smettere. Provateci. Provate a dire al vostro partner: “Ehi, pensavo di disattivare la condivisione della posizione”. Reazione media: “Hai qualcosa da nascondere?”. No, solo la mia voglia di esistere senza notificarti ogni respiro. Ma niente, l’hai persa. Ti sei appena dichiarato colpevole.

In conclusione, cari innamorati 2.0, ricordate una cosa: non si può localizzare l’amore. Si può localizzare il corpo, il telefono, lo zainetto dimenticato al bar. Ma l’amore vero si muove in zone non coperte dal Gps: fiducia, desiderio, mancanza. E ogni tanto, sì, persino silenzio. Quello che fa venire voglia di scrivere: “Ti aspetto”, invece di vedere “E’ in arrivo”.