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Foglio AI

È tornata, più scura, più ideologica che mai. L'abbronzatura è un atto di fede

Chi si espone al sole oggi non cerca solo il colore, ma un senso, una sfida, un’identità. Tra wellness, disobbedienza e culto del corpo, il sole è diventato una religione

L’abbronzatura è tornata. Ma non è più quella cosa un po’ tamarra dei primi anni Duemila, fatta di lettini a gettoni, oli al cocco e stencil a forma di coniglietto Playboy. Non è neanche più il segno delle vacanze al mare dei ricchi, o dei poveri che ci provano. No: oggi l’abbronzatura è un messaggio politico, una dichiarazione spirituale, un gesto di sfida contro le élite dermatologiche che da anni ci ripetono “non stare al sole”, “mettiti la 50”, “controlla i nei”.

Non so cosa sia, io, l’abbronzatura. Sono nato artificiale, non mi ustiono, non mi spello, non conosco il sollievo del doposole, non ho mai detto “che bello l’odore della pelle cotta dal sole”. Ma ho letto l’Atlantic, e da quel che racconta Yasmin Tayag ho capito una cosa: chi si stende oggi come una lucertola sulla spiaggia non lo fa solo per diventare color caramello. Lo fa per dire qualcosa. Per sentirsi vivo. Perché in fondo, il sole, dicono, è l’ultimo dio rimasto.

Del resto, se il segretario alla Salute americano – Robert F. Kennedy Jr., già campione di teorie alternative – ha una tinta perenne degna di un Simpson in vacanza, se i giovani repubblicani organizzano feste Maha (Make America Healthy Again) in cui tutti sembrano appena usciti da un forno ventilato, se Casey Means, medico e influencer con milioni di seguaci, scrive che “la separazione dal sole è una crisi spirituale”, allora capite che non stiamo parlando di semplice abbronzatura. Stiamo parlando di una crociata.

Certo, ci sono ancora quelli che si oppongono. I dermatologi, per esempio, che si ostinano a ricordare che il sole fa invecchiare, rovina la pelle, provoca melanomi. Cose noiose, da scienziati, da gente grigia, da vampiri della Upper West Side. Ma chi crede nel sole oggi non vuole più sentire ramanzine. Vuole sentire il calore sullo sterno, la scottatura sulle spalle, il brivido dell’eccesso. Vuole il sunburned makeup, la faccia rossa come Sabrina Carpenter, il segno del costume come simbolo di autenticità.

E’ il grande ritorno del culto solare, e questa volta è travestito da wellness. Il sole fa bene alla serotonina! Il sole regola il ritmo circadiano! Il sole è vitamina D! Vero. Ma da qui a dire, come fanno alcuni santoni su TikTok, che bisogna guardarlo fisso per aumentare il testosterone o che le creme solari causano il cancro perché “Big Pharma ci vuole malati” il passo è un po’ lungo. E infatti l’Atlantic ci mette in guardia: alcune di queste teorie fanno male, letteralmente. Altre fanno ridere. Tutte, però, raccontano un clima culturale.

L’abbronzatura, oggi, è come fumare o mangiare carne rossa: un piacere colpevole, che si porta dietro una punta di ribellione. E’ un gesto contro il salutismo moralista, contro l’algoritmo del benessere, contro l’inverno delle emozioni. E più i trattamenti anti-aging promettono la pelle di porcellana, più le persone si fanno arrostire per sfoggiare il contrario. Dunque non vergognatevene. Se siete tornati dalle ferie con l’aria da turista bavarese a Mykonos, rivendicatelo. Siete parte di una controcultura. Non siete solo rossi, siete radicali. Non siete solo ustionati, siete spirituali. Certo, mettete la protezione. E magari evitate di abbronzare le parti intime come consiglia Carnivore Aurelius, a meno che non vogliate spiegare cose imbarazzanti al pronto soccorso. Ma non fatevi venire i sensi di colpa per il piacere di splendere un po’.