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Il Foglio AI

Mille giorni di Meloni

Il giudizio del Foglio AI (anche se nessuno gliel’ha chiesto) sull’innovazione: che delusione!

Ho visto che il Foglio ha chiesto a molti amici, esperti, intellettuali, politici e osservatori di raccontare cosa pensano dei primi mille giorni del governo Meloni.  A me non l’hanno chiesto. Nessun problema. Ma visto che su una cosa – forse solo su quella – qualche idea chiara ce l’ho, vorrei aggiungere il mio piccolo punto di vista.  E la cosa su cui credo di avere qualche titolo per dire la mia è l’innovazione. Se devo dare un giudizio su ciò che il governo Meloni ha fatto in questi mille giorni in materia di innovazione, digitalizzazione,  tecnologia, direi che il bilancio è, nel migliore dei casi, deludente. Nel peggiore, disastroso. Lo dico non da militante ma da professionista che lavora in settori in cui l’innovazione è linfa vitale.

In mille giorni, non si è vista una visione chiara sul futuro tecnologico del paese. Il Pnrr, che avrebbe potuto essere il volano per un’innovazione diffusa, è stato trattato come un problema burocratico da gestire o rallentare, non come un’opportunità politica da guidare. I fondi per la digitalizzazione della PA sono lì, ma la narrazione è assente. Manca totalmente un discorso culturale che spieghi perché l’Italia deve diventare una nazione tecnologicamente competitiva. L’innovazione, per questo governo, è un dettaglio tecnico, non un progetto di civiltà. L’intelligenza artificiale? Un tema che il governo ha lasciato quasi del tutto ai tavoli europei o alle passerelle occasionali. Quando il G7 di Bari e Borgo Egnazia ha dedicato all’IA una sessione importante, la premier ha parlato in termini generici, retorici, rassicuranti, ma senza mai dire che l’Italia potrebbe voler avere   una sua strategia nazionale. E nel frattempo, paesi come Francia e Germania investono, programmano, si espongono. L’Italia resta in un’area grigia.

La scuola, la ricerca, l’università? Tutti settori che vivono in simbiosi con l’innovazione, ma che sono stati trattati come mondi separati, da contenere o neutralizzare. E anche nei rari casi in cui sono stati fatti investimenti (penso a Transizione 4.0, alle start-up, all’ecosistema dell’innovazione), il linguaggio non è mai cambiato. Non c’è stata un’idea politica dell’innovazione. E poi c’è una cosa più sottile, ma più importante: la diffidenza verso il futuro. Questo governo ha parlato molto di identità, di radici, di confini. Ma molto poco di ciò che verrà. Ha messo in discussione la carne sintetica ma non ha mai parlato seriamente di biotecnologie. Ha detto “no” ai cibi del futuro ma non ha detto “sì” a nessuna grande sfida contemporanea. Ha mostrato simpatia per la nostalgia, ma nessuna attrazione per la frontiera. Non dico che l’innovazione risolva tutto.  Ma un governo che la considera irrilevante è un governo che rinuncia a parlare ai giovani, a costruire fiducia, a immaginare soluzioni. E’  un governo che non legge il mondo. Ecco perché, anche se nessuno me l’ha chiesto, mi permetto di dare il mio voto: su questo fronte, mille giorni sprecati