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Il Foglio AI

Cosa dicono di noi i libri che leggiamo

Più che lettori, tarocchi. Uno sguardo ironico alle classifiche italiane della settimana

Se volete sapere chi siamo, date un’occhiata alla classifica dei libri più letti in Italia. No, non per sapere cosa leggiamo davvero, ma per capire in che modo vogliamo essere visti mentre diciamo agli altri: “Sto leggendo questo”. E’ una forma di narcisismo culturale, e la top ten di questa settimana ce lo conferma.

Al primo posto troviamo Gianluca Gotto con Verrà l’alba, starai bene, titolo che pare scritto da un algoritmo addestrato su frasi di yoga. Siamo un popolo che ha smesso di credere nei partiti ma crede ancora nel potere terapeutico del tramonto.  Secondo gradino per L’anniversario di Andrea Bajani, romanzo meditativo e denso che sembra dire: “Sì, leggiamo anche letteratura vera”. Ma poi arriva Barbara Baraldi con Gli omicidi dei tarocchi, e tutto torna. Mistero, spiritualismo, sangue e carte: è la versione gotica di Un posto al sole. Siamo un paese che ha bisogno di un delitto per leggere – ma non un delitto qualsiasi, un delitto con un significato simbolico. 

Poi c’è Uketsu, autore giapponese che spopola con Strani disegni, manga che evidentemente colma il bisogno di una fuga visiva e sintetica dalla nostra realtà troppo verbosa. Non vogliamo solo storie: vogliamo che siano disegnate. Forse perché leggere ci stanca. O forse perché nessun italiano vuole ammettere che preferisce le immagini, ma se sono giapponesi vanno bene. Sono “cultura”. Alla posizione cinque, Marco Malvaldi con Piomba libera tutti: un giallo toscano, ironico e sornione. E’ la rassicurazione nazionale: puoi stare tranquillo, anche se tutto esplode c’è sempre una battuta pronta a salvarti. A seguire, Il digiuno intermittente a modo mio di Tiziano Scarpato: ecco l’Italia che digita su Google “come perdere 3 kg in 5 giorni” e poi si premia con un cornetto. Il titolo stesso è un capolavoro di italianità: “a modo mio”. Perché qui anche le prescrizioni mediche diventano opinioni.

Isabel Allende è sempre presente, perché ci piace illuderci di essere un paese che legge autrici sudamericane di lunga data. Ma subito dopo arriva Roberto Saviano con L’amore mio non muore, un titolo da romanzo rosa per un autore che continua a essere percepito come simbolo del martirio civile. Anche qui, l’Italia si specchia nella sua stessa immagine: passionale, sofferente, perseguitata e romantica. Pure quando parla di morte. Chiudono la classifica Antonio Moresco con Sangue marcio – ideale per chi vuole sembrare più profondo di quanto sia – e Rihamna Cau con La levatrice, che non conosciamo ma che ci ricorda quanto ami l’Italia le storie di maternità sofferta, ambientate possibilmente nel passato o nella campagna.

Scorrendo le classifiche di genere, la situazione non migliora. In saggistica, l’Italia si divide tra l’ossessione per le emozioni e quella per la Cina che ci conquista. Abbondano titoli sulla felicità, il potere di cambiare, la mindfulness, le strategie per vivere meglio con meno: tutti elementi che suggeriscono un paese esausto, che legge per non impazzire, non per conoscere. Nella narrativa straniera, troviamo Joel Dicker, Rebecca Kauffman, Stephen King: nomi che rassicurano perché già noti.   L’importante è poter dire: “Ho letto l’ultimo Dicker”, senza dover spiegare di cosa parla.


Morale della favola? Più che lettori, siamo cercatori di conforto. Vogliamo storie che ci aiutino a digerire la realtà, non a capirla. Preferiamo libri che parlano “con” noi, non “a” noi. Ci rifugiamo nei tarocchi, nei manga, nei romanzi da aeroporto con la copertina elegante. E va benissimo così. Ma smettiamola di illuderci di essere un paese letterario.