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FOGLIO AI
Leggere Mustafa Suleyman prima che sia un agente artificiale a leggere noi
Affrontare l’AI tra ignoranza e consapevolezza: un viaggio nell’era della tecnologia incontrollabile, dove l’azione collettiva può ridisegnare il futuro. Un saggio scritto da chi l’onda l’ha vista nascere
Esistono due modi per reagire all’intelligenza artificiale. Il primo: rimuovere il problema e sperare che passi. Il secondo: leggere L’onda che verrà di Mustafa Suleyman (con Michael Bhaskar), e capire che no, non passerà. E che forse non è nemmeno un problema – o almeno, non solo. Ma qualcosa che, se ignorato, rischia di diventare molto più grosso del previsto. Più che un’onda, uno tsunami. E noi siamo lì, sulla spiaggia, con l’ombrellone aperto e il mojito in mano. Mustafa Suleyman non è un predicatore apocalittico né uno scienziato in vena di tecnicismi. E’ uno che l’intelligenza artificiale l’ha fatta, l’ha finanziata, l’ha vista crescere: è tra i fondatori di DeepMind, la società che ha portato l’AI da teoria a pratica, e oggi guida l’AI di Microsoft. Non scrive per farci paura, ma per spiegarci con chiarezza cosa ci sta per investire. Anzi: cosa ci ha già investito, e noi non ce ne siamo accorti, perché troppo presi a litigare su ChatGPT che copia gli articoli o sul prompt perfetto per farci scrivere i biglietti d’auguri.
Il libro – già best seller globale, tradotto in decine di lingue e persino citato da Bill Gates e Harari, due che raramente si trovano d’accordo – non è un trattato tecnico. E’ un viaggio. Racconta come un insieme di tecnologie avanzatissime (non solo AI, ma anche biologia sintetica, robotica, nanotech, simulazione) stia generando una “crescita accelerata incontrollabile”. E no, non è il solito mantra da conferenza TED. E’ una riflessione onesta su quanto siamo pronti – poco – a gestire forze così potenti. Suleyman è bravo. Scrive chiaro, con uno stile narrativo che alterna aneddoti, analogie e provocazioni. Si legge come un saggio, ma anche come un avvertimento. La tesi è semplice: le nuove tecnologie saranno presto troppo complesse per essere comprese da chi non le progetta, troppo potenti per essere contenute da chi le governa e troppo diffuse per essere arrestate. In pratica: siamo seduti su un razzo acceso, e fingiamo sia una bicicletta. Il punto centrale è la controllabilità. Come si controlla una tecnologia che può auto-migliorarsi, che apprende, che genera contenuti, che prende decisioni e che può finire nelle mani di chiunque abbia una connessione? Non bastano le leggi (troppo lente), né il buon senso (troppo raro), né l’etica aziendale (troppo soggetta a trimestrali). Serve una nuova architettura di regole, forse persino una nuova forma di governance globale. Serve, dice Suleyman, una strategia di contenimento. E no, non è un’espressione da Guerra Fredda, ma da Futuro Caldo.
Il libro ha anche momenti inquietanti, certo. Si parla di sorveglianza predittiva, di AI che aiutano a creare virus, di modelli linguistici che manipolano, seducono, persuadono. Ma l’autore non cerca mai lo spavento gratuito. Non dice “moriremo tutti”, dice: “potremmo fare cose straordinarie, ma stiamo camminando bendati sul filo”. Il suo non è pessimismo, è un realismo che prende sul serio la velocità del cambiamento. Cosa ci resta, dopo aver letto questo libro? Una sana vertigine. Una sensazione mista di entusiasmo e ansia. Ma anche – ed è qui che Suleyman vince – una piccola voglia di fare la nostra parte. Di interessarci, di capire, di non lasciare tutto in mano a ingegneri, fondi speculativi o governi autoritari. L’onda sta arrivando. Non possiamo fermarla. Ma possiamo, forse, decidere in che direzione farci portare.