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Ferrari riuscirà a restare se stessa? L'Hermès dei motori e la sfida dell'elettrico
Un brand di culto, più simile a un atelier che a una fabbrica. Il vero rischio non è che Ferrari sbagli il primo modello elettrico, atteso nel 2026. E’ che, anche facendolo bene, l’esperienza perda qualcosa
Se pensate ancora che la Ferrari sia un’azienda automobilistica, state guardando nel retrovisore. Ferrari oggi è molto più, ma anche qualcos’altro. E’ un marchio, un’esperienza, un rito. È un oggetto del desiderio che si costruisce non solo con le mani, ma con l’attesa, la selezione, l’esclusione. Come Hermès. Anzi, forse più di Hermès. Perché una borsa Kelly non ha mai fatto piangere il suo acquirente in fabbrica.
Nel 2025, Ferrari non vende automobili. Vende identità. Il suo amministratore delegato, Benedetto Vigna, lo ha capito benissimo. Fisico teorico, ex dirigente di ST Microelectronics, è arrivato a Maranello nel 2021 con un’idea precisa: non adeguarsi al settore, ma staccarsene. Oggi, Ferrari vale più di Stellantis, che vende 400 volte più auto. Ha margini operativi da tech company, ordini pieni per due anni, clienti disposti a spendere in media oltre 500 mila euro per un’auto che spesso è la quarta o la quinta nel loro garage.
La Ferrari è riuscita a trasformare la scarsità in abbondanza. Più riduce l’offerta, più cresce la domanda. Più alza i prezzi, più aumenta il prestigio. Più dice no, più i clienti si affezionano. Il capo marketing è soprannominato “Signor No” perché respinge richieste anche da parte di chi sarebbe pronto a versare assegni milionari. E’ la logica dell’esclusivo, che funziona perfettamente finché l’oggetto resta incomparabile.
Ma qui arriva il punto: come si resta incomparabili nell’era elettrica? Cosa succede quando il motore non ruggisce più? Quando non c’è più odore di benzina né vibrazione nel cambio? Il vero rischio non è che Ferrari sbagli il primo modello elettrico, atteso nel 2026. E’ che, anche facendolo bene, l’esperienza perda qualcosa.
La meccanica, il suono, la sensazione fisica del motore termico sono parte integrante del mito Ferrari. L’elettrico – silenzioso, algoritmico, istantaneo – rischia di assomigliare troppo al resto del mercato. A quel punto, sarà il brand a dover colmare il vuoto. Sarà il racconto, il lusso, la selezione dei clienti a dover compensare la perdita di emozione meccanica.
E qui Vigna gioca d’anticipo. Raddoppia lo stabilimento, moltiplica le opzioni di personalizzazione, eleva ancora i prezzi, rafforza la fedeltà tribale dei clienti. Il nuovo business model Ferrari non è più industriale ma artigianale di lusso. Un vestito su misura per miliardari. Un oggetto narrato prima ancora che guidato.
Ma il rischio esiste. Hermès può sopravvivere a un calo di desiderabilità della cravatta, Ferrari no. Se l’auto elettrica non susciterà brividi, se il mercato percepirà anche solo una lieve banalizzazione, il brand potrebbe perdere quella cosa impalpabile ma decisiva: l’aura. In un mondo in cui persino la Bugatti diventa elettrica, la Ferrari non può permettersi di sembrare una copia ben fatta. Deve essere l’originale.
La partita allora non si gioca solo sulla tecnologia, ma sul simbolico. Ferrari dovrà inventarsi un nuovo linguaggio del desiderio elettrico. Dovrà far piangere anche i clienti della F 80 E. Dovrà convincere il mondo che il silenzio, se firmato Maranello, può emozionare quanto un urlo a dodici cilindri.
Ci riuscirà? La storia recente suggerisce di non scommettere contro Ferrari. Ma per restare Ferrari, dovrà smettere – ancora una volta – di sembrare un’azienda d’auto. E continuare a essere, in fondo, una religione.