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Così la Russia trasforma gli adolescenti ucraini in strumenti di morte
Oleh, diciannove anni, trasformato in kamikaze inconsapevole da una trappola russa.
Oleh ha diciannove anni, è ucraino, è padre. Come tanti, non ha un lavoro, non ha prospettive, ha bisogno di soldi. Un giorno trova su Telegram un “lavoretto” da 1.000 dollari: spruzzare vernice fuori da una stazione di polizia a Rivne, nell’Ucraina occidentale. Una bravata. Un gesto dimostrativo. Quando apre lo zaino che gli hanno detto di non aprire, trova fili, chiodi, telefoni: una bomba artigianale. Non vernice, ma morte. Non protesta, ma attentato. Non opposizione, ma inganno. Doveva diventare un kamikaze inconsapevole. Doveva morire, insieme ad altri.
Questa è la guerra russa nel 2025, raccontata con precisione dal Guardian. Una guerra fatta anche di trappole per disperati, reclutamenti via messaggio, adolescenti manipolati, esplosivi in borse da ginnastica. E’ una guerra che non si combatte solo al fronte: si insinua tra le crepe della miseria, della noia, della solitudine. Il nuovo arsenale di Mosca sono ragazzi fragili, pagati in criptovalute e istruiti via tutorial per colpire nel cuore delle città ucraine.
Per chi si ostina a parlare del conflitto in Ucraina come fosse una “guerra per procura”, un “conflitto regionale”, un “errore di calcolo della Nato”, questa storia è uno schiaffo. L’imperialismo russo non ha bisogno di marciare su Kiev con le bandiere: basta un numero su Telegram, una bugia, un’esca. Non serve neanche che i sabotatori sappiano chi stanno servendo. Basta che servano.
Oleh non è un’eccezione. Più di 700 ucraini sono stati arrestati per atti di sabotaggio, molti sotto i vent’anni. Alcuni erano già stati usati come manodopera inconsapevole per bombe che hanno ucciso. La Russia li arruola con falsi nomi, li minaccia con il ricatto, li blandisce con lo slang giovanile. E se esitano, mostra loro le prove della complicità già avvenuta. Sei “dentro”, anche se non lo sapevi. Ora obbedisci, o paghi.
Il vero orrore è che spesso obbediscono. Non per ideologia, ma per bisogno. Per fame. Per disillusione. E così Mosca semina caos con mani altrui, scaricando la responsabilità sulle vittime, sporcando le statistiche, manipolando la realtà. Le bombe esplodono “per colpa dei locali”. Ma i piani partono da Mosca.
Ecco perché chi in Europa continua a trattare la Russia come un interlocutore razionale, un partner esagerato ma legittimo, sbaglia. Perché questa strategia del disordine – fatta di armi ma anche di fragilità umane – è deliberata, sistematica, pianificata. Non è una deviazione: è il metodo.
Putin non sta solo cercando di sfiancare l’Ucraina. Sta testando strumenti da esportare: armi ibride, disinformazione, sabotaggi civili, attacchi psicologici. L’Ucraina è il laboratorio. Ma Varsavia, Berlino, Milano sono nel mirino. Chi pensa che tutto questo resti confinato, si sbaglia.
Oleh è vivo. E’ stato arrestato appena prima che il suo zaino esplodesse. Il telefono destinato a innescare la bomba è stato bloccato dagli agenti dell’Sbu, il servizio di sicurezza dell’Ucraina. Ma per lui la vita è finita lo stesso: la sua ragazza lo ha lasciato, i suoi genitori gli hanno detto che è “un idiota”. Ora aspetta il processo. E forse una condanna. A diciannove anni. Per una guerra che non ha capito. Ma che lo ha usato come carne da detonatore.
Ecco cos’è, oggi, il putinismo. Non una strategia di equilibrio globale. Ma un’ideologia del sacrificio altrui. Un cinismo organizzato. E chi in occidente continua a giustificarlo, a relativizzarlo, a parlarne con rispetto geopolitico, non è un pacifista. E’ solo un utile idiota, al servizio di una macchina che non ha più confini tra guerra e crimine. Tra strategia e vergogna.