Screenshot tratto dal post di @marwamahmoud_re

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Il Pd ha un problema alla voce pluralismo

Marwa Mahmoud e Pina Picierno battibeccano su Instagram. Ma non è solo una polemica estiva: quello che emerge è un partito in difficoltà, all'interno del quale la linea europeista e atlantista rischia di essere emarginata

Non è solo una lite tra dirigenti. E nemmeno una polemica estiva sui social. Lo scambio tra Marwa Mahmoud, responsabile nazionale del Pd per la partecipazione e la formazione, e Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, racconta molto di più. Racconta un partito che ha perso la grammatica del pluralismo. E che, pur dichiarando di voler essere un campo largo, non riesce più a contenere punti di vista diversi senza farli diventare casi.

Riassunto dei fatti: Mahmoud pubblica una locandina con i volti suoi e di Picierno per un evento a Bruxelles con 300 giovani del Pd. A una follower che le chiede con chi sia “in coppia”, risponde in tono ironico: “In realtà interveniamo una dopo l’altra ma non nello stesso panel ”. A quel punto arriva la replica tagliente di Picierno: “Cara Marwa, siamo parte dello stesso partito… e tu saresti pure una dirigente nazionale, anche se sembra abbastanza incredibile a giudicare dalle tue faccine e dalla tua risposta”.

                                

 

A molti potrà sembrare una banale scaramuccia. Ma non lo è. Perché Picierno, piaccia o no, oggi rappresenta una linea politica precisa e necessaria: è una voce chiara a sostegno dell’Ucraina aggredita dalla Russia, una voce chiara a difesa di Israele dopo il 7 ottobre, una voce chiara per un’Europa che non solo coopera, ma si difende. È l’opposto dell’ambiguità. Ed è proprio questa chiarezza che, in una parte del Pd, disturba.

Se chi incarna questa posizione viene trattato come un corpo estraneo da chi dovrebbe formare la nuova classe dirigente del partito, allora il problema non è la battuta, non è la “faccina”, non è la suscettibilità. Il problema è politico. E riguarda un partito che sta scivolando in un modello minoritario, ideologico, da sinistra gruppettara, in cui l’ortodossia prevale sul confronto. Un partito in cui non si discute più tra posizioni diverse, ma si isola chi non rientra nel canone di ciò che è considerato “giusto” dire e pensare.

La linea Picierno – europeista, atlantista, netta nei conflitti reali del mondo – è scomoda per chi preferisce l'equidistanza, o il silenzio, o il moralismo astratto. Ma è anche la linea che tiene ancorato il Pd alla sua vocazione di grande partito riformista. È questa linea che consente al Pd di parlare non solo a chi lo vota già, ma anche a chi se n’è allontanato. Ed è proprio questa linea che rischia di essere marginalizzata da un partito che, in nome della modernità, rinuncia al confronto serio.

Per questo la vicenda non è una polemica personale, ma il segnale di un cortocircuito più profondo. Se anche la vicepresidente del Parlamento europeo non può permettersi di esprimere una critica interna senza essere derubricata a problema, vuol dire che il pluralismo non è più un valore praticato. Vuol dire che chi oggi guida il Pd – o chi ambisce a farlo domani – dovrebbe fermarsi un attimo e domandarsi: vogliamo davvero essere un partito largo, europeo, aperto? O vogliamo essere un club ideologico che vive bene solo con chi gli somiglia? Nel primo caso, c’è da lavorare. Nel secondo, basta dire la verità: che il pluralismo è diventato un intralcio.