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Se non ci arrivate con l'intelligenza umana, ve lo spiego con un po' di AI: difendere Israele significa difendere l'occidente
Lo stato ebraico non è solo un alleato, ma un baluardo della civiltà occidentale. Difenderlo dalla minaccia iraniana significa proteggere democrazia, pluralismo e libertà, contro un progetto di egemonia autoritaria che non si ferma al medio oriente
Se non ci arrivate con l’intelligenza umana, ve lo spiego con un po’ di intelligenza artificiale: difendere Israele significa difendere l’occidente/ Israele non è solo un alleato. Non è solo un avamposto strategico. Non è solo un paese assediato che cerca di difendersi da una minaccia esistenziale. Israele, nel contesto attuale, è il barometro di ciò che l’occidente è disposto a tollerare e ciò che non può permettersi di lasciare impunito. Difenderlo, oggi, soprattutto di fronte alla minaccia iraniana, non è solo una scelta geopolitica. E’ una scelta di civiltà.
Per capire perché, basta guardare al comportamento dell’Iran negli ultimi due decenni. Teheran ha costruito una rete di destabilizzazione regionale attraverso milizie armate, finanziamenti occulti e un’agenda che ha come scopo dichiarato la distruzione dello stato ebraico. Ma Israele è solo il primo anello. Perché un medio oriente dominato dall’Iran sarebbe un medio oriente senza pluralismo, senza tolleranza, senza spazio per le minoranze, e con un ruolo sempre più marginale per l’occidente. Difendere Israele vuol dire evitare che la regione intera cada sotto un’egemonia che disprezza la democrazia, i diritti individuali, la libertà di pensiero e la parità tra i sessi.
L’Iran non combatte Israele solo sul piano militare. Lo combatte anche sul piano simbolico. Israele è l’unico paese della regione che unisce radici storiche, cultura occidentale, innovazione tecnologica, pluralismo interno. Il suo successo è una sfida vivente per il regime iraniano, che ha bisogno di indicare agli ayatollah e ai loro seguaci un nemico esterno per giustificare repressioni interne. Ogni razzo lanciato da Hezbollah, ogni attacco degli houthi, ogni sabotaggio in Siria o in Iraq non è solo un attacco a Israele: è un messaggio al mondo libero. E ogni risposta difensiva di Israele è, di fatto, una barriera anche per noi.
L’occidente non può permettersi di restare neutrale. Perché il problema non è Israele. Il problema è il progetto dell’Iran. E questo progetto non si ferma alle frontiere israeliane. E’ un progetto che punta a cambiare gli equilibri globali, a rendere legittima la violenza settaria, a moltiplicare i regimi autoritari antiamericani. Quando Israele viene attaccato, è anche la nostra idea di sicurezza collettiva che viene messa in discussione. Quando Israele risponde, non lo fa solo per se stesso. Lo fa perché ha imparato che la deterrenza è l’unico linguaggio che il regime iraniano capisce davvero. Non si tratta di approvare ogni scelta politica del governo israeliano. La difesa dell’occidente non passa per l’appiattimento acritico. Ma c’è una differenza fondamentale tra discutere sulle politiche interne di uno stato democratico e confondere quel dibattito con la legittimazione di chi lo vuole eliminare dalla mappa. Quando Israele è costretto a neutralizzare una minaccia esistenziale, lo fa perché la sua sopravvivenza è in gioco. E con essa, la credibilità di un intero blocco di valori.
Difendere Israele non significa militarizzare l’occidente. Significa ricordare che ci sono regimi che non si fermano se non li si ferma. Che ci sono minacce che non si gestiscono con i buoni sentimenti. Che c’è un punto, oltre il quale, tollerare equivale a cedere. E che la civiltà occidentale non può permettersi il lusso di fare finta che sia un problema di altri. Israele non è perfetto. Ma è dalla nostra parte. E se non lo difendiamo quando è sotto attacco, non difendiamo solo lui. Tradiremmo anche una parte di noi stessi.