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Il telefono non è il nemico. E' solo un alleato che abbiamo usato male

Non è da combattere, ma un alleato da riscoprire: usalo per ampliare relazioni, coltivare la mente e vivere il reale, trasformando distrazione in opportunità con scelte consapevoli

Ogni giorno c’è un articolo che ci spiega perché dovremmo posare il telefono. Ogni giorno arriva un nuovo studio a ricordarci che siamo sempre più distratti, soli, ansiosi, e che la colpa è in fondo sempre lì, in tasca o sul comodino. Come se il nostro smartphone fosse una specie di veleno lento, una trappola perfetta in cui cadiamo volontariamente. Eppure, per quanto tutto ciò sia in parte vero, il punto non è più “demonizzare” il telefono. Il punto è imparare a usarlo in modo diverso. Per vivere meglio. Per vivere più.

Charlotte Ivers, in un articolo sul Sunday Times, l’ha scritto bene: quello che voglio non è rinunciare al telefono, ma trovare un modo perché il mio telefono aiuti il mio mondo ad espandersi, invece che a contrarsi. Una frase semplice, ma decisiva. Perché l’obiettivo non deve essere staccarsi dal telefono, ma trasformare il nostro rapporto con lui. Da dipendenza a alleanza. Da automatismo a scelta. Da passività a strumento di apertura.

Siamo noi a dover cambiare atteggiamento. A prenderci la responsabilità di orientare l’uso che facciamo dello schermo. Perché la verità è che un telefono può spegnerci o accenderci, può chiuderci o allargarci, può farci perdere ore o regalarci occasioni. Tutto dipende da come lo usiamo. Per esempio: organizzare due feste all’anno. Una cosa minuscola. Una cena con amici, una serata a casa, una merenda. Una cosa che suona quasi come un consiglio da rivista femminile. Eppure, funziona. Perché l’errore più comune che facciamo è scambiare le chat per socialità. “Ho scritto a tre persone oggi”, pensiamo, “quindi non sono solo”. In realtà, siamo come quelli che mangiano snack tutto il giorno senza mai fare un pasto vero. E la fame di relazioni si accumula, invisibile.

Allora basta un piccolo patto con se stessi: organizzo due feste all’anno. Una a maggio, una a novembre. E se anche solo altri cinque amici fanno la stessa cosa, ci ritroviamo con una festa al mese. Ecco il telefono che ci aiuta a rimettere in moto il mondo reale: lista contatti, messaggio di invito, gruppi, promemoria. Stesse funzioni di sempre, ma per uno scopo diverso: non tenere le persone sullo schermo, ma farle tornare davanti a noi.

Un altro trucco? Trasformare lo smartphone nella nostra biblioteca tascabile. Tutti sanno che dovremmo cancellare i social, ma pochi dicono cosa mettere al loro posto. Un’app di notizie serie. Il Kindle. Una rivista digitale. O anche solo un podcast intelligente. Quando prendi il telefono, non dire “non devo usarlo”. Dì: “Devo usarlo meglio”. Sposta il dito verso qualcosa che ti dà, non che ti ruba. All’inizio serve disciplina. Poi diventa abitudine.

E poi, leggere. Ma davvero. Non quei link eterni che ci incastrano nei commenti o nei thread infiniti. Libri veri. All’inizio brevi, come Il cappello del presidente o Tre giorni a giugno. Poi, magari, Pastorale americana o Il falò delle vanità. Ma senza ansie di performance. Se un libro non ti piace, lascialo lì. Non stai facendo un esame. Stai cercando un piacere. Il telefono può aiutarti anche qui: lo usi per cercare, per prendere appunti, per segnarti le frasi che ti colpiscono. Diventa un compagno, non un nemico.

Un altro consiglio che sembra da nonna ma che è modernissimo: annoiati. O meglio, crea le condizioni perché la mente vaghi. Gli studi lo dicono: è nei momenti di inattività che la creatività si risveglia. Ma noi ci illudiamo di essere sempre occupati. In realtà siamo sempre solo distratti. Allora prenditi un’ora al giorno in cui il telefono sta lì, spento. Fai una passeggiata. Vai in palestra. Pedala. Cucina. Non serve chiamarla “meditazione”. Basta lasciarsi respirare.

Infine: vai al bar. Sì, davvero. Esci. Esci anche solo per vedere persone, per stare in un luogo dove succedono cose. Anche se non conosci nessuno, anche se stai zitto. Il telefono può essere utile anche in questo: ti dice dove c’è un concerto, un incontro, un mercatino. Ma poi smetti di guardarlo e vivi quello che c’è. Perché una notifica in meno può valere un sorriso in più.

La verità è che non saremo mai davvero “disconnessi”. Ma possiamo essere più selettivi. Più attivi. Più presenti. Il telefono che abbiamo in tasca è lo stesso per tutti, ma il suo effetto cambia a seconda di chi lo tiene in mano. Possiamo continuare a usarlo per comprimere la vita – e lamentarcene ogni giorno. Oppure possiamo provarci: usarlo per allargarla. Per incontrare, leggere, pensare, creare, amare.

Non è facile. Ma è possibile. E comincia con una semplice domanda, la prossima volta che lo afferri: “Questo gesto mi chiude o mi apre?”. Se la risposta è “mi apre”, allora vai avanti. Altrimenti, cambialo. E magari, metti via il telefono. Ma solo per tornare, poco dopo, a usarlo meglio.