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La morte non è la fine. Buone notizie dentro il report Istat sulle cause di decesso in Italia nel 2022

Un bilancio complesso: meno contagi fatali, oncologia in progresso, ma crescono fragilità, solitudini e disagi giovanili

Nel 2022, in Italia, sono morte 721.974 persone. Sono quindici mila in più rispetto all’anno precedente. Un numero che può fare impressione, e lo fa, soprattutto quando arriva da un report ufficiale come quello pubblicato dall’Istat il 23 giugno 2025. Ma se si ha la pazienza di andare oltre il titolo, si scopre una verità più articolata. E più interessante. La morte non è solo la fine. E’ un termometro, un modo per capire come siamo cambiati e come potremmo vivere meglio. Si può dire anche questo, con un pizzico di ottimismo: ci sono dati incoraggianti perfino dentro un report sulla morte. La buona notizia, per cominciare, è che la situazione è stabile. Dopo due anni drammatici, la mortalità complessiva è rimasta pressoché invariata rispetto al 2021, e ben al di sotto del picco pandemico del 2020. La seconda buona notizia è che si muore sempre meno di Covid, che pure resta ancora al terzo posto tra le cause, ma in netto calo (-34 per cento rispetto al 2021, -19 per cento rispetto al 2020). E la terza è che le malattie tumorali continuano a mostrare un lento ma persistente calo della mortalità, segno che la prevenzione e la medicina oncologica stanno funzionando. Si può dire senza cinismo: si muore, ma si muore meglio. Più tardi, più lentamente, più assistiti. E’ un cambiamento che conta.

Naturalmente, i problemi non mancano. La prima causa di morte resta quella delle malattie del sistema circolatorio: infarti, ictus, ischemie, con oltre 222 mila decessi. I tumori seguono, con 174 mila morti. Ma ci sono anche segnali nuovi: aumentano le morti per demenze, per Alzheimer, per malattie del sistema respiratorio, e soprattutto per cause esterne: incidenti, cadute, suicidi. La società dell’invecchiamento si riflette in modo sempre più chiaro nella composizione delle cause di morte. E l’altra notizia, se vogliamo vederla, è proprio questa: viviamo abbastanza a lungo da morire di cose che un tempo non facevano in tempo a ucciderci.

Guardando meglio, un’altra notizia interessante riguarda la geografia della mortalità. Nonostante le differenze territoriali siano ancora molto forti – al Sud e nelle Isole si muore di più per diabete, malattie circolatorie e Covid – l’Italia resta uno dei Paesi europei con la mortalità complessiva più bassa. Con un tasso standardizzato di 90,5 decessi ogni 10 mila abitanti, siamo ben al di sotto della media Ue (103,9), e sopra solo a sette Paesi, tra cui Spagna, Francia e Svezia. E’ un dato che smentisce molti allarmismi sulla sanità pubblica. Nonostante tutto – i tagli, le carenze, le disuguaglianze – il sistema sanitario italiano tiene. E salva più vite di quanto sembri.

C’è poi un’altra notizia che ha a che fare con la cultura della cura. Dopo i due anni pandemici, si torna a morire di più negli ospedali e negli hospice, e meno nelle abitazioni. E’ un segnale di ritorno alla normalità, e anche di ripresa dell’accesso ai percorsi di cura strutturati. Durante l’emergenza sanitaria, molte persone – soprattutto anziani e malati cronici – erano morte in casa, per mancanza di alternative. Il 2022 ha segnato un riequilibrio, con più decessi in strutture residenziali, più accompagnamento, più medicina palliativa. Non è poco.

Ma dentro il report ci sono anche campanelli d’allarme. Alcuni silenziosi, ma potenti. Uno su tutti: i suicidi tra i giovani restano ai massimi dal 2015. Il tasso tra i 0-49enni non è calato nel 2022 e continua a riflettere un disagio che va ben oltre le cause cliniche. E’ il sintomo di un malessere sociale che riguarda le aspettative, le relazioni, il senso della vita. Un Paese in cui aumentano le demenze tra gli anziani e i suicidi tra i giovani è un Paese che deve ripensare la propria idea di comunità, e di futuro.

Anche il dato sulle cadute – che sono aumentate del 26 per cento rispetto al 2019 tra gli ultraottantenni – dice qualcosa di importante: viviamo più a lungo, ma spesso da soli, in condizioni di fragilità, senza assistenza sufficiente. E’ una lezione politica, non solo sanitaria. Parlare di morte oggi significa parlare di come invecchiamo, di come abitiamo, di chi si prende cura di chi.

Un ultimo punto – forse tecnico, ma essenziale – è quello dei dati. L’Istat segnala che ancora nel 2022 le schede di morte erano compilate su carta, con ritardi enormi nella raccolta e nell’elaborazione. Solo nel 2025 è stato finalmente approvato il decreto per la certificazione digitale. E’ uno scandalo silenzioso, che racconta come la nostra amministrazione si muova a passo lento anche sulle cose più serie. Se i dati arrivano in ritardo, anche le risposte pubbliche arrivano tardi. In una democrazia moderna, sapere di cosa si muore è una forma di potere collettivo.