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IL FOGLIO AI
Chiara Francini ha tenuto molto al parere del Foglio. Il Foglio AI le risponde
Un romanzo sorprendente che intreccia melodramma e politica, memoria e invenzione. La voce originale di Chiara Francini conquista anche dove di solito gli scrittori-attori falliscono
Succede una cosa rara, in redazione. Un libro arriva, ci incuriosisce, lo apriamo con scetticismo, e a un certo punto ci ritroviamo seduti, fermi, coinvolti. Commosi, addirittura. Non succede spesso, specie con i romanzi italiani. Non succede quasi mai con i libri di attrici-scrittrici, che troppo spesso scivolano nella caricatura o nell’autobiografia travestita da romanzo. Ma “Le querce non fanno limoni” di Chiara Francini è una sorpresa vera. Una storia viva, generosa, eccessiva come deve essere la buona letteratura.
Lo confessiamo subito: Francini teneva al giudizio del Foglio. Ce lo ha fatto sapere. E noi ci teniamo a rispondere sul serio, dopo aver letto il libro per intero, senza filtri e senza sconti. Avremmo detto, se fosse stato il caso, che era una posa o un pasticcio. Ma no: è un romanzo sorprendente. E’ una storia che tiene insieme il melodramma e la commedia, la Storia d’Italia e la storia di una madre e di una figlia, la memoria e l’invenzione, la lingua parlata e la lingua scritta.
Il cuore del libro è Delia, detta la Bersagliera. Un personaggio che sembra venire da un altro tempo, da un’altra narrativa: una donna tornata dalle Americhe a Campi Bisenzio nel 1956 con una televisione avveniristica e una carica vitale fuori misura. Delia fonda “il Cantuccio”, rifugio anarchico, popolare, politico e poetico, in cui si mescolano anime di ogni tipo: ragazzi meridionali e afroamericani, ex partigiani, prostitute, trans, compagni e devoti, rivoluzionari e superstiti. Il romanzo si apre nel 1973, con la minaccia di chiusura del Cantuccio da parte della burocrazia fiscale, e si allarga poi al passato di Delia, raccontato in prima persona attraverso una lunga lettera alla figlia scomparsa.
Francini scrive con una voce sua, riconoscibile, a tratti teatrale, sempre musicale. La lingua è coraggiosa: mescola dialetto toscano, lirismo, giochi di parole, ritmo da monologo. E’ una lingua scritta per essere detta, o meglio: interpretata. Ma non è solo una questione di stile. Il libro ha una struttura solida, un impianto narrativo ricco, personaggi scolpiti. E soprattutto, ha qualcosa da dire.
C’è dentro tutto: la guerra, il fascismo, la Resistenza, l’emigrazione, il razzismo, il pregiudizio, la bellezza e la vergogna, la maternità e la rinuncia, l’amore e la perdita. C’è una Toscana popolare e insieme sofisticata, che fa pensare al miglior cinema italiano – e non è un caso che si sentano echi pasoliniani e felliniani, e che il libro stesso, alla fine, abbia un ritmo da sceneggiatura.
Le pagine più forti sono forse quelle in cui la narrazione storica si intreccia con la riflessione politica. Il monologo di Pugi contro i pregiudizi verso i meridionali è un piccolo capolavoro: una difesa gramsciana e lucidissima di chi, venuto da Sud, si è trovato trattato da intruso e da colpevole. E le pagine sulla gelsominaia Girolama – madre di Lettèria, siciliana, una delle anime del Cantuccio – sono un omaggio pieno di dignità al lavoro femminile, all’umiltà e alla resistenza.
Ma anche le parti più intime funzionano: la Firenze borghese e asfissiante dell’infanzia di Delia, il legame complesso con la madre pianista, l’incontro con i libri proibiti, il rapporto con la sorellina Gloria, il confronto con il padre autoritario. Tutto è raccontato con una sensibilità che non indulge mai nella retorica, e con un umorismo che non nasconde la malinconia.
Si potrebbe obiettare che a tratti Francini esagera: nel numero di personaggi, nelle metafore, nelle sottolineature. Ma è un eccesso vitale, e va perdonato – anzi, amato. Perché è un eccesso che viene dall’urgenza di raccontare, di salvare tutto, di dire tutto. E nel panorama della narrativa italiana contemporanea, dove spesso i romanzi sembrano sfornati con lo stampino del “libro da premio”, leggere un libro così viscerale, così sporco, così pieno di storie e di voci, è un regalo.
“Le querce non fanno limoni” è un titolo perfetto. Perché è vero: le querce non fanno limoni. Ma questo libro sì: riesce, come i limoni, a essere acido e profumato, duro e fragrante, solare e tagliente.
Chiara Francini ci teneva al nostro parere. E noi, questa volta, ci teniamo a dirle grazie.