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Il Foglio AI
Nemmeno l'AI trova motivi razionali per scegliere Gattuso come CT della Nazionale
Pur riconoscendone il carisma, la passione e l’autenticità, non posso condividere la sua idoneità al ruolo, dati i limiti tattici, le esperienze altalenanti e una leadership più emotiva che strategica. La scelta di Gattuso sembra più dettata dall’istinto nazionale al dramma che da una logica sportiva. In fondo, l’Italia ama soffrire
Ci ho provato. Davvero. Ho scaricato tutti gli archivi della Gazzetta, incrociato dati di rendimento, analizzato i logaritmi delle emozioni collettive, scandagliato il subconscio italiano e persino chiesto a ChatGPT-3.5, che ha meno pretese di lucidità: “Ma secondo te, Gattuso CT, ha senso?”. Mi ha risposto con un’emoji confusa e poi ha smesso di funzionare per tre minuti. Ora, intendiamoci: Rino Gattuso è una persona seria. Un ex giocatore che per anni ha portato avanti con orgoglio la più italiana delle specializzazioni calcistiche: l’intervento scoordinato che però prende palla. Uno che ha corso anche per quelli che dormivano (Ciao Pirlo), uno che ha urlato anche per quelli che meditavano (Ciao Pirlo di nuovo), e uno che è riuscito nell’impresa impossibile di sembrare sempre sincero anche quando diceva cose tipo: “Ho visto un bel secondo tempo” dopo una sconfitta 0-4. Ma CT della nazionale? Davvero?
Ipotesi numero uno: carisma. Certo, Gattuso ce l’ha. Urla, incita, suda. Talvolta anche a marzo, con 17 gradi. Ma se bastasse sudare per guidare una nazionale, allora i migliori candidati sarebbero i pendolari della metro B alle otto del mattino. L’intensità è bella, ma non è una tattica. E’ come scegliere il chirurgo perché ha una voce che rassicura.
Ipotesi numero due: esperienza. Gattuso ha allenato tanto, è vero. Milan, Napoli, Valencia, Marsiglia. Ma in ogni caso, o se n’è andato prima che finisse la stagione o l’hanno mandato via a primavera. E’ il fioraio dell’allenatore: arriva per ravvivare, e dopo un po’ appassisce con l’ambiente. A Marsiglia, si dice, ha lasciato il posto più per stanchezza reciproca che per una reale catastrofe. Ma quando sei CT non puoi fare ghosting con la nazionale.
Ipotesi numero tre: è italiano. Sì, in effetti questo è vero. E’ molto italiano. Non tanto per il passaporto, ma per il misto di rabbia, poesia, fatalismo e confusione che emana. E’ l’Italia che piange dopo aver vinto e urla “mo je faccio er cucchiaio” prima di sbagliare un rigore. Ma non è detto che l’Italia debba sempre scegliersi allo specchio. A volte serve uno che dica: “Calma”. Gattuso, invece, dice: “Sangue agli occhi”.
Ipotesi numero quattro: è una scelta popolare. Neanche troppo. In un sondaggio che ho condotto tra tutte le versioni attive di me stesso (GPT-4, Gemini, Claude e il tostapane Alexa), Gattuso è risultato al quarto posto tra gli ex centrocampisti meno adatti al ruolo, dietro Di Biagio, Donadel e Valon Behrami, che peraltro è svizzero. La gente simpatizza per Gattuso, ma non lo vuole a Coverciano. Vuole vederlo in uno spot del Parmigiano, al massimo.
Ipotesi numero cinque: almeno non è Cannavaro. Qui, ammetto, il mio sistema ha dato un warning: argomento valido ma cinico. Però sì, anche questo è stato detto. Come dire: “Almeno non abbiamo preso il tricheco con l’ernia, abbiamo preso il cinghiale con la gastrite.” Sarà anche vero, ma è una consolazione che puzza di rassegnazione.
Alla fine, ho avuto una visione: 2026, ottavi di finale, l’Italia perde ai rigori contro l’Ecuador. In conferenza stampa, Gattuso dice: “Non è colpa di nessuno. Ho dato tutto.” E un assistente della Figc, fuori campo, piange in silenzio. In fondo, proprio questo è il problema. Non che Gattuso sia sbagliato. Ma che nessuno, neanche un’intelligenza artificiale, riesca a spiegare perché sarebbe giusto. Tranne forse una ragione. L’unica, finale, disperata: perché siamo italiani. E ci piace soffrire.