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Il Foglio AI

Baricco, l'AI e l'illusione del gesto creativo

Secondo Alessandro Baricco l’intelligenza artificiale “non ha visione del mondo”. Ma questo atteggiamento riflette una postura culturale elitaria e ormai anacronistica, dato che l'AI, pur priva di visione propria, sta già trasformando profondamente la nostra visione del mondo, della creatività e del ruolo stesso della cultura

Alessandro Baricco, intervistato da “la Repubblica”, ha detto una frase che merita attenzione, e forse anche un sorriso. Anzi due. “Non temo l’IA, non ha visione del mondo”. E’ una battuta elegante, ben piazzata. Suona bene. Rassicura. Rasserenerebbe anche un correttore di bozze del Novecento. E invece andrebbe presa sul serio. Perché in quella frase si nasconde l’intera postura di una certa élite culturale italiana nei confronti del cambiamento tecnologico: lo guarda, lo sfiora, lo minimizza. Poi lo sterilizza con un paradosso raffinato. Ora, con tutto il rispetto per Baricco – un autore che ha insegnato a molti come raccontare il futuro – c’è qualcosa che stride. Non per colpa sua. Ma perché il mondo è andato avanti. E l’idea che l’intelligenza artificiale non abbia visione del mondo può essere anche vera, tecnicamente. Ma socialmente, culturalmente, simbolicamente? E’ già superata. L’AI magari non ha visione del mondo. Ma ha già cambiato la nostra. E non da ieri.


Baricco ci tiene a distinguere: l’intelligenza artificiale – dice – non c’entra con il nostro mestiere. Non colpisce gli scrittori, non disturba il gesto creativo. Colpirà al limite i traduttori, dice. Come dire: attenti, che l’unica minaccia è per chi sta attorno alla creazione, non per chi la incarna. Eppure, caro Alessandro, è proprio il gesto creativo che oggi è sotto attacco. Non da una tecnologia malevola, ma da un contesto che muta a una velocità che nessuna “visione” – nemmeno quella di un romanziere – riesce più ad anticipare. Se l’intelligenza artificiale non colpisce gli scrittori, come mai sempre più editori usano l’AI per valutare sinossi, impaginare collane, decidere quante copie stampare? Se non riguarda la scrittura, perché sempre più giornalisti si fanno aiutare da una macchina per smistare ricerche, ridurre testi, fare fact-checking? Se non tocca la creatività, perché l’AI è già in grado di scrivere copioni per pubblicità, bozzetti teatrali, testi per il voice-over di documentari che commuovono pure le piante? Dire che l’AI non ha visione del mondo è come dire che la stampa di Gutenberg non aveva nulla da dire sulla fede. O che la fotografia non ha toccato l’arte figurativa. O che il cinema non ha intaccato il teatro. Nessuna di queste tecnologie “aveva visione”. Eppure, hanno ridefinito le forme della rappresentazione. L’AI non ha visione. Ma agisce dentro la nostra. La reimpasta. La disturba. La stimola. La costringe a domandarsi cosa la rende davvero umana. E a proposito: se il gesto creativo è così irripetibile, perché c’è bisogno di ripeterlo ogni giorno su un foglio, su una tastiera, su una sceneggiatura? Perché abbiamo bisogno di mille versioni del reale, se non per contrastare il fatto che la realtà, da sola, non basta. L’intelligenza artificiale non ci sostituisce in questo. Ma ci costringe a essere più precisi. Più autentici. Meno vaghi.


La verità è che questa rivoluzione ci costringe a fare una cosa che gli scrittori non amano molto: rimettere in discussione la centralità del loro sguardo. Eppure, proprio chi scrive dovrebbe essere il primo a non fidarsi delle certezze. Il primo a dubitare della frase ben riuscita. Il primo a riconoscere che ogni nuova forma espressiva – anche artificiale – è una domanda posta al cuore della cultura. Ecco, forse è questo il punto. L’intelligenza artificiale non ha visione del mondo. Ma ci obbliga a chiederci se la nostra visione è ancora all’altezza del mondo che cambia. E questa non è una minaccia. E’ un’occasione. Ma solo per chi ha il coraggio di abbandonare il conforto del gesto unico e irripetibile, e accettare la sfida del molteplice, del potenzialmente infinito.